Grant Lee Buffalo: Concerto E Intervista Esclusiva

Quale cornice migliore di un teatro sulle sponde del Tamigi in una giornata uggiosa, per assistere alla reunion dei Grant Lee Buffalo a più di dieci anni dallo scioglimento. Non che in questi anni Phillips sia stato con le mani in mano, ma la possibilità di rivedere la band di “Fuzzy” di nuovo sullo stesso palco sembrava svanita da tempo. Invece, come spesso accade quando non si pensa più a qualcosa, te la ritrovi sotto gli occhi all’improvviso. In realtà, avremmo dovuto festeggiare l’epifania insieme alla band, ma un brutto incidente ha costretto il cantante a rimandare tutto di qualche mese, giusto per aumentare ancora un’attesa che si era fatta ormai estenuante. L’impatto iniziale è che nulla sia cambiato: il sound è lo stesso che fece innamorare Michael Stipe nei primi anni novanta, con quell’alternanza di pezzi acustici e ruvide ballate elettriche che ne diventarono il marchio di fabbrica. Anche i testi non risentono minimamente del passare degli anni, a testimonianza del fatto che fossero quasi profetici o forse solo a dimostrare che ben poco è cambiato da allora. Il soundcheck aveva ben chiarito che il gruppo avrebbe attinto a piene mani dai primi due album della band, un po’ perché artisticamente più validi e un po’ perché probabilmente la metà dei presenti si trovava a teatro per sentire quei brani. Nessun nuovo brano, nessuna cover, ma mai nel corso della serata si è avuta la sensazione di assistere a qualcosa per nostalgici: piuttosto il pubblico ha visto in questa reunion la possibilità di ascoltare dal vivo una delle band migliori degli anni novanta, che senza i problemi seguiti al passaggio ad una major avrebbe potuto trovare molto più spazio negli annali del rock. Se non ci credete, andate su internet, comprate “Mighty Joe Moon” a due lire e mettetevi comodi.

Prima dello storico concerto di Londra, abbiamo avuto l’onore di parlare con Grant Lee Phillips…Non aspettatevi nuovi album, ma ci saranno altre occasioni di vederli nuovamente dal vivo.

Perché un tour dei Grant Lee Buffalo ora, quando ormai non ci sperava più nessuno?

Forse proprio per quello (ride). A dir la verità l’avremmo fatto anche prima, se non mi fossi rotto il tallone d’Achille mentre mi trovavo in tour in Norvegia lo scorso autunno, ma l’importante è esserci riusciti. Volevamo tornare a divertirci insieme e permettere a chi non ci aveva visto, di poterlo fare. E credo che il nostro sound sia molto meglio di un tempo: sarà che siamo maturati come uomini, oltre che come musicisti.

Credi che ci sarà un futuro per il gruppo? Album, tour mondiali…

Se parliamo di un futuro con qualche concerto sporadico come questo, posso dirti anche di sì. Il tour sta andando molto bene, noi ci stiamo divertendo e anche il pubblico sembra pensarla allo stesso modo. Se mi parli però di rientrare in un meccanismo che prevede album, singoli da scegliere, tour e tutto il resto, ti dico subito che non ci pensiamo assolutamente. Abbiamo pianificato queste date senza pensare a nient’altro, ci godiamo solo il momento. Inoltre siamo ben consci del fatto che il nostro attimo sia comunque passato e con quello anche i tour mondiali…

Se diamo un occhio alla situazione politica odierna, per molti versi sembriamo ancora nei primi anni novanta…Qualcosa quindi non cambia mai…

Sì, in effetti anche gli spunti per scrivere canzoni purtroppo sono sempre maggiori. Una volta c’era la guerra del Golfo, oggi c’è la Libia, tutto come sempre e, purtroppo, tutto come negli ultimi quarant’anni. Certo Obama è un presidente migliore di Bush ed un grande politico, ma credo si trovi a combattere contro cose troppo grandi, più grandi di lui probabilmente. Io di certo non ho mai fatto politica, per lo meno in senso stretto, ma ho sempre cercato di parlare di quello che mi circondava e spesso, purtroppo, non quello che ci circonda non è così bello. Ma parliamo di altri argomenti, di politica dovremmo parlarne per troppe ore…

Allora diventiamo più leggeri: cosa canti sotto la doccia?

Mi hai preso alla lettera (ride). Non è una domanda facile, sono state scritte moltissime canzoni da doccia nella storia del rock, soprattutto negli anni settanta. Se dovessi sceglierne solo una ti direi “Immigrant Song” dei Led Zeppelin, adoro imitare male le urla belluine di Robert Plant all’apertura del pezzo! Oppure “Mustapha” dei Queen, pezzo perfetto per una doccia, con quei cambi di tempo, i vocalizzi folli e le liriche senza senso!