Carlos Santana: Utopia Al Potere

Dopo una chiacchierata con Carlos Santana ognuno di noi potrebbe convincersi di trovarsi ancora a cavallo tra gli anni sessanta e il decennio successivo. Il chitarrista messicano parla infatti come se il festival di Woodstock fosse finito settimana scorsa, con lo stesso trasporto, la stessa convinzione e forse la stessa ingenuità di allora. A colpire maggiormente è però la sensazione di pace in grado di trasmetterti, al punto che, finita l’intervista, ti ritrovi a pensare che forse qualcosa potrebbe davvero cambiare se tutti lo volessero. E se vi eravate un po’ stancati degli album di duetti, lo strumentale Shape Shifter è l’album che fa al caso vostro…

Puoi spiegarci da dove nasce l’idea del concept alla base di Shape Shifter?

L’idea nasce dalla certezza che ogni persona sulla terra sia consapevole della necessità dei cambiamenti, ma anche che il progresso sia solo una possibilità, non una cosa senza la quale non potremmo vivere. Solo capendo che il bene del prossimo è il nostro bene potremmo davvero capire che esiste un filo conduttore che lega tutta l’umanità. Solo così si possono fare miracoli terreni. In caso contrario rimarremo dei miserabili, attenti solo ai nostri interessi.

Nel corso di questi anni in che modo decidevi quali pezzi usare per i dischi che stavi per pubblicare e quali lasciare in un cassetto per Shape Shifter?

È stato un po’ come il lavoro di un cuoco: tu sai automaticamente cosa funziona e cosa no, quasi come se quella capacità fosse innata. Al cuoco basta assaggiare una pietanza per capire cosa funziona e cosa no, così come nel mio caso mi basta risentire un assolo o sentire in sequenza le canzoni per accorgermi immediatamente se devo aggiungere più sale o semplicemente per capire quali pietanze possono convivere nello stesso piatto. E agire di conseguenza.

Possiamo definire il nuovo album come un allontanamento marcato dalla formula che ti ha riportato al successo mondiale da Supernatural in avanti. Come hai trovato la nuova via e quanto si distanzia dal recente passato?

Innanzitutto, ad essere sincero non mi piace la parola “formula” per quanto riguarda i miei ultimi album. Penso sia un termine più adatto ad un laboratorio chimico o ad un artista che perde giorni e giorni a trovare i giusti elementi per creare una hit di successo. Questa è la mia idea di formula e di certo non mi è mai appartenuta. Di sicuro negli ultimi anni la struttura dei miei dischi è rimasta la stessa e un album strumentale può essere visto come un’inversione di rotta, ma non come una nuova formula. L’unica strada seguita è stata quella della fede. Esatto, abbiamo sostituito le formule con la fede.

Come nascono le tue melodie e i temi dei tuoi brani? Ti arrivano dall’alto o sono qualcosa cui lavori per diverso tempo prima di giungere alla conclusione?

Mi arrivano assolutamente da un’altra dimensione, che non ha nulla a che vedere con quella terrena. Non so dirti se dal centro del mio cuore o dall’alto, ma mi giungono dalla parte spirituale di me, quella che mi fa essere in pace col mondo anche quando le cose introno a me sembrano andare in un’altra direzione. Ci sono casi in cui l’idea nasce in studio di registrazione, come nel caso della title track: ci siamo messi a suonare ed è nata così, come un dono del cielo.

L’album vede la partecipazione di Benny Rietveld, Chester Thompson, Dennis Chambers, così come quella di Raul Rekow, Karl Perazzo e di due vocalist, Andy Vargas e Tony Lindsay. Cosa ha portato ognuno di essi in termini di sensibilità musicale?

Ognuno di loro è molto più che un semplice collega, per questo li ho voluti al mio fianco. Come prevedevo, sono riusciti tutti ad infondere al disco la loro vitalità interiore, il loro animo. Hanno reso l’album un carnevale di colori e creatività impossibile da ricreare.

Restando sul terreno delle collaborazioni, c’è un artista attuale col quale vorresti scrivere qualcosa in futuro?

Ho una voglia immensa di scrivere qualcosa per Lady Gaga, una delle artiste occidentali che mi affascina maggiormente in questo momento. Poi qualcosa di più particolare, come dei brani con alcune band africane ed indiane che ho conosciuto nel corso di questi anni: gruppi in grado di passare con la stessa sensibilità dai Metallica a Santana nel corso dello stesso concerto. Una cosa sconvolgente che voglio approfondire nel futuro prossimo.

Sembra ieri che piombasti come una cometa sul palco di Woodstock, incantando con il tuo mix di musica latina e rock tradizionale. Cosa ricordi oggi di quell’esperienza?

Ricordo ogni istante di quell’esperienza, ogni singolo momento. Fu come far parte di un unico organismo vivente, fatto da noi artisti e da chiunque si trovasse in quell’area immensa ad ascoltarci. Volevamo tutti la stessa cosa: volevamo pace e volevamo la fine della guerra in Vietnam, di tutte le guerre nel mondo. Eravamo anche noi guerrieri, perché un vero guerriero porta la pace, non la distruzione.

Pensi che la musica avesse o abbia ancora il potere di cambiare il mondo?

Assolutamente sì!! Penso ai Beatles di “All You Need Is Love”, a “What’s Going On?” di Marvin Gaye, “What A Wonderful World” di Louis Armstrong, ma anche a “No Woman No Cry” e “One Love” di Bob Marley, “A Love Supreme” di John Coltrane…Se i cinque o sei maggiori proprietari di reti tv e radio al mondo mi permettessero per un mese di diffondere la musica di cui parlo, si renderebbero conto dell’immediata diminuzione di violenza sul pianeta: ci sarebbero meno stupri, meno violenze sui minori, rabbia e paura. Basterebbe un solo mese per iniziare un percorso di riabilitazione della società. La musica ha il potere di proteggere la gente dalla rabbia e dalla paura di cui è pervasa.

Chi sono gli artisti attuali che conosci che credono ancora di poter cambiare la società attraverso la loro musica?

Molti più di quelli che puoi immaginare! Mi vengono in mente immediatamente Sting e Stevie Wonder, ma anche la stessa Lady Gaga, il cui nome potrebbe stupire più di una persona. È una persona splendida, che ha capito perfettamente che non possiamo più tirare la corda come abbiamo fatto fino ad ora. Ci sono sempre più giovani che hanno capito che ogni cosa è più buona se viene condivisa con gli altri.