Iron Maiden: La Parola A Steve Harris

Al di là di qualche caso eclatante, è difficile che il leader di una band ricopra il ruolo di bassista e non perché il basso possegga meno dignità di altri strumenti, ma perché nell’immaginario comune i leader vengono sempre associati alla chitarra elettrica e al ruolo di cantante. Tuttavia, se ci fermiamo un attimo a riflettere, di bassisti in grado di essere ricordati non solo come semplici membri di una band è disseminata la storia del rock. I primi nomi di leader a quattro corde ad affiorare alla memoria sono quelli di Sting, Roger Waters e, non ce ne voglia John Lennon, Paul McCartney. Senza dimenticare figure carismatiche ma silenziose del calibro di John Entwistle, John Paul Jones e Geezer Butler. Anche il punk ha avuto qualcosa da dire a riguardo, grazie all’indole autodistruttiva di icone quali Dee Dee Ramone, autore del novanta per cento dei brani della band da lui fondata e Syd Viciuos, così poco musicista, ma culturalmente forse ancora più influente. E in ambito metal? Se togliamo Lemmy Kilmister, in grado di trascendere generi e generazioni, l’unico vero super leader di un gruppo da milioni di copie vendute rimane Steve Harris, bassista e mente creativa dietro ogni mossa targata Iron Maiden. La popolarità della band, aumentata costantemente e direttamente proporzionale alla fruibilità sempre maggiore della proposta musicale stessa, ha superato da tempo i confini del metal tout court, arrivando nelle case della maggior parte dei rocker sparsi per il mondo, anche di quelli che non assisterebbero mai ad un concerto degli Slayer. I motivi per cui il musicista britannico abbia deciso solo ora di pubblicare un album solista sono decisamente difficili da capire: se un album come British Lion fosse infatti uscito alla fine degli anni ottanta avrebbe ottenuto un risalto mediatico che oggi è solo possibile immaginare. D’altra parte, Harris non ha mai fatto nulla che non fosse studiato nei minimi dettagli, quindi perché dubitare oggi delle sue scelte…

Quando mesi fa annunciasti una grossa novità nella tua carriera, in molti temettero che stessi mandando in prepensionamento gli Iron Maiden…

Lo so, me l’hanno detto molte persone e mi è non sarei sincero se ti dicessi che mi sia piaciuto giocare un po’ con questa cosa. Non sono un sadico, non fraintendermi, sapevo che gli unici a preoccuparsi davvero sarebbero stati quelli che non conoscono me e la storia della band. Ho fatto talmente tanti sacrifici per tenere sempre unito il gruppo e per acquisire credibilità, che smettere ora sarebbe totalmente assurdo. Per smettere davvero di suonare con gli Iron Maiden dovrei non essere più in grado di fare altro nella vita e, fortunatamente, non è ancora giunto il momento.

Al contrario il tuo primo album solista dimostra una vitalità ed un’apertura mentale che qualcuno poteva non immaginare che possedessi. Perché solo ora?

Perché le cose bisogna farle quando è il momento, non quando gli altri vogliono che lo sia. Ho ricevuto migliaia di offerte negli ultimi anni e se avessi voluto incrementare il mio conto in banca avrei potuto alzare il telefono, chiamare quattro amici e mettere su una super band come quelle che negli ultimi anni sono nate in ambito hard rock e metal, ma non era quello che volevo. Quando Bruce (Dickinson, ndr) uscì dal gruppo, mi chiesi perché sentisse il bisogno di farlo, cosa non aveva funzionato. Ora ho capito che se fossimo stati più maturi si sarebbe potuto fare tutto. Infatti oggi ognuno di noi ha progetti al di fuori della band ed è salutare. Un tempo eravamo troppo settati su bisogni individuali per capirlo.

Credo che dal ritorno di Dickinson in poi, questo aspetto abbia giovato in primis alla band stessa. Se in studio è inevitabile che le cose migliori siano state fatte prima, dal vivo non avete mai suonato come nel nuovo millennio. Nemmeno a metà anni ottanta.

Sì, questa è una cosa di cui si sono accorti in molti. Le tre chitarre di certo aiutano a dare corposità e a mascherare qualche piccola sbavatura che può avvenire in qualsiasi serata, ma è proprio la band ad essere cambiata. Penso sia un semplice questione di maturità. Anche se Bruce dal vivo non ha mai cantato a questi livelli, è impressionante.

Torniamo a British Lion. Sei conscio del fatto che le polemiche non mancheranno?

Sì so cosa mi aspetta: un prodotto di un membro degli Iron Maiden crea sempre polemiche, così come ogni uscita della band. Un po’ come successe per i primi album di Bruce Dickinson, in cui prese pesantemente le distanze dal metal classico. Molti lo vedevano come un traditore, che aveva abbandonato il gruppo, quindi non ebbero la lucidità di coglierne i pregi. British Lion è un disco da ascoltare senza alcun pregiudizio e con la massima apertura mentale. Credo che chi davvero apprezza il mio songwriting, la ricercatezza che da sempre caratterizza i miei testi, non si fermerà al puro aspetto musicale. Insomma, come sono maturato io, spero che siano riusciti a farlo anche le persone che mi seguono da tanti anni. Alle polemiche sono preparato, mi basterebbe solo che un terzo di chi ascolterà l’album riuscisse a coglierne l’animo. A dire il vero, so per certo che i nostri fan sono mediamente molto curiosi e colti, quindi non ho dubbi sul fatto che presteranno molta attenzione al disco, nonostante non abbia nulla a che spartire con le cavalcate che sono abituati a sentire da me.

Possiamo quindi definire British Lion un album di rock classico? Forse mi sbaglio, ma si percepiscono addirittura echi degli anni novanta.

Senza dubbio e senza paura possiamo definirlo un album rock tradizionale. Per quanto riguarda gli anni novanta, in fase di mastering ho avuto la stessa sensazione. D’altra parte, se ci pensi, tutto il movimento musicale di quel decennio era comunque debitore degli anni settanta, quelli a cui ci riferiamo quando parliamo di classic rock. Soprattutto una band come i Pearl Jam, decontestualizzata dal periodo, non è altro che una super band di rock classico. La maggior parte degli ascolti di chi componeva quella musica lo era. Forse gli Who potrebbero essere l’anello di congiunzione tra il mio progetto e una band come i Pearl Jam. Credo che non si scandalizzi nessuno: ora che possiamo analizzare in modo più lucido quel periodo, si notano inevitabilmente molte più sfumature.

Anche il riserbo riguardo ai componenti della band ha alimentato quell’alone di mistero intorno al progetto.

La mia sfida era quella di riuscire a vincere sulla rete e, almeno da questo punto di vista, so per certo di avercela fatta. Monitoravo costantemente internet alla ricerca di informazioni riguardo al mio album e non trovarne mi metteva di buonissimo umore, perché stavo vincendo la mia battaglia personale (ride, ndr). Certo, non sono ancora attrezzato per vincere la guerra e so già che l’album girerà sul web dal momento in cui comparirà in un negozio, ma sapere che fino al giorno stesso nessuno era grado di scovare la benché minima notizia ha del miracoloso.

Quando hai davvero messo in piedi questo side project e perché British Lion?

Molti non lo sanno, ma gli albori di questo progetto risalgono al 1992, quando dichiarai alla stampa inglese di voler provare a fare qualcosa di un po’ differente dal solito, insieme a musicisti poco noti, in grado di stimolarmi come agli esordi. Il nome pensato per quella band era proprio British Lion. In segno di continuità col passato abbiamo quindi deciso di intitolare così l’album.

E i componenti sono gli stessi di allora? Perché poi si arenò tutto?

In parte sono gli stessi, che hanno avuto l’incredibile pazienza di aspettare che io fossi più libero dai miei impegni con gli Iron Maiden. So che per anni deve essere stato molto frustrante, ma non avevo altre possibilità. Spero col mio nome di dare loro una visibilità che magari non sarebbero riusciti ad avere da soli. È il mio modo per risarcirli in parte per la pazienza.

Non sarà facile, vista la mole di concerti che ti aspetta con gli Iron Maiden da qui alla fine del 2013, ma hai pensato alla possibilità di proporre dal vivo l’album?

Assolutamente sì! Ho conosciuto qualche musicista insofferente allo studio di registrazione e a tutto quello che comporta registrare un album, ma nessuno che non amasse portare la propria musica in giro per il mondo. Uno degli aspetti che mi stimola maggiormente è quello della scelta delle location in cui potremmo suonare: sono così abituato ad avere di fronte a me migliaia di persone, che l’idea di tornare a suonare nei club mi affascina tantissimo. Inoltre la band è molto carica e non potrei farla attendere altri quindici anni prima di andare in tour. Tuttavia, il vero problema sarà proprio riuscire a pianificarlo, visto che per il prossimo anno sarò completamente impegnato con la riproposizione del Maiden England Tour in America e l’anno prossimo torneremo con lo stesso spettacolo in Europa.

A proposito, penso che siate l’unica band al mondo a riproporre i vostri tour di maggior successo per le nuove generazioni. Ormai siamo arrivati quasi alla chiusura del cerchio…

Sì, in effetti tra poco dovremo ricominciare da capo! Anche perché quelli del periodo con Blaze Bailey alla voce non potremo di certo riproporli…Dopo Maiden England torneremo di sicuro in studio per dare un seguito a The Final Frontier, ma senza alcun tipo di pressione o ansia. Dopo di che probabilmente ripartiremo con l’ultimo dei nostri tour retrospettivi, quello della tournée di Fear Of The Dark. Lo facciamo per i nostri fan, per tutti quelli che ai tempi non riuscirono a vederci per via dell’età o anche solo perché impossibilitati. Come ben sai, però, se lo facessimo solo per loro alla lunga il giocatolo finirebbe per rompersi: la verità è che lo facciamo anche per sentirci giovani e per ricordarci sempre quello da cui proveniamo. Insomma, i prossimi anni sono già pianificati!

Una piccola provocazione in conclusione. Certo che qualche volta Fear Of The Dark potreste anche non farla, specie durante la riproposizioni dei tour del passato…

(Ride, ndr) Hai perfettamente ragione e spesso anche noi facciamo autoironia al momento di preparare le scalette dei tour. Devi capire però che ogni volta ai nostri show potrebbero esserci nuovi fan e non solo chi ci vede da anni, quindi abbiamo il dovere di regalare loro qualche classico preso da altri periodi della band. Ricordi quante polemiche quando decidemmo di proporre tutto A Matter Of Life And Death dal vivo e solo cinque classici alla fine? I fan non sono mai contenti, quindi spesso l’unica cosa da fare è agire senza pensare alle conseguenze.