Aerosmith: Toys In The Attic

Ci sono anniversari discografici che si possono dimenticare, altri che vengono festeggiati solo per poter ristampare l’album in questione insieme ad una quantità, spesso inutile, di materiale pseudo inedito e poi ci sono quelle ricorrenze di cui la maggior parte dei media si dimenticano, perché poco interessati all’argomento. Il compleanno di Toys In The Attic ci deve ricordare in modo prepotente che la band di Steven Tyler e soci non può essere ricordata solo per Armageddon

 

Ricordo perfettamente la prima volta in cui vidi gli Aerosmith dal vivo. Era la metà degli anni novanta, il cadavere del grunge era ancora caldo e molti degli ammiratori di Kurt Cobain bollavano la band come un manipolo di dinosauri tornati in auge con qualche ballatona da classifica, buona solo a sembrare romantici con qualche ragazza con cui si provava ad uscire. Non solo, ma il successo smodato di cui erano tornati a godere veniva letto da alcuni come la conferma dell’avvenuta restaurazione da parte della vecchia élite del rock, che si riprendeva lo scettro dopo lo scossone di Seattle. Proprio in sintonia con quel “è come se non fossimo mai esistiti” pronunciato da uno sconsolato Cobain pochi giorni prima di morire, davanti alla mastodontica fila per i biglietti dei Pink Floyd. Eppure, chi lo conosceva davvero sapeva perfettamente che Cobain non avrebbe mai potuto dire la stessa cosa del gruppo di Steven Tyler, essendo da sempre un fervente ammiratore di dischi come Rocks e, soprattutto, Toys In The Attic. Ironia della sorte, quella sera d’estate in cui vidi per la prima volta i Toxic Twins, Toys In The Attic aveva compiuto da poco vent’anni, proprio in una data che si avvicinava molto a quella in cui il povero Kurt aveva deciso di farla finita. Tolte le super hit Walk This Way e Sweet Emotions, per altro, la maggior parte dei presenti  ne ignorava completamente l’esistenza.

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Sì perché, ancora oggi che di anni ne compie quaranta, ci si rende conto del fatto che quel capolavoro non sia mai stato celebrato per quello che è: uno dei dischi imprescindibili di tutti gli anni settanta. E non parlo della mancanza di ristampe ricche di inutili demo o cose del genere, figlie degli anni duemila e della crisi del disco, ma semplicemente di riconoscergli il posto che gli spetta nell’olimpo del rock. La sensazione, infatti, è che se quei trentasette minuti lascivi e diretti fossero usciti dalla penna di gente come i Led Zeppelin o i Rolling Stones, oggi vedremmo Toys In The Attic in qualsiasi Top 20 mondiale. Senza dimenticare che furono proprio il riff di Walk This Way e i Run DMC a farli risorgere dieci anni più tardi, quando nessuno voleva più vederli nemmeno in foto, tanto erano fradici e incapaci persino di andare a tempo. Quelli che partorirono quel disco erano gli Aerosmith più stradaioli, quelli che forse guardavano ancora (troppo?) alle grandi band che stavano segnando la storia della musica in quegli anni, ma che presentavano già tutte le caratteristiche che li avrebbero resi celebri nei vent’anni successivi. Sostanzialmente erano quelli di cui, qualche anno più tardi, Axl Rose e Slash si innamorarono a tal punto da decidere di seguirne il più possibile le orme, in primis sul fronte degli eccessi. Inoltre, quel disco sancì la nascita di uno dei sodalizi più fecondi del decennio, quello col produttore Jack Douglas, il primo a riuscire a tirar fuori dai cinque qualcosa che non fosse soltanto un insieme di brani, ma un mosaico perfetto in grado di suonare moderno anche a quarant’anni di distanza. Se qualcuno volesse conoscere i primi anni della band con un solo album, non ci sarebbero dubbi di sorta: il successivo Rocks, altro caposaldo assoluto, è forse troppo spigoloso e non per tutti, mentre i due album precedenti, più il secondo del primo, risultano ancora oggi un po’ acerbi e incompleti. Se però siete ancora convinti che gli Aerosmith migliori siano quelli delle ballatone strappamutande, andate a sentirvi You See Me Crying, traccia conclusiva di Toys In The Attic: roba da far impallidire qualsiasi altra ballad uscita dalla penna di Steven Tyler e compagni…