Brian May: Il Suono Dei Queen

Troppo spesso si tende ad identificare un gruppo rock con il proprio cantante e il caso dei Queen, in questo senso, è forse il più lampante nella storia della musica popolare. Certo, un catalizzatore naturale d’attenzione come Freddie Mercury si prestava maggiormente ad un ruolo di questo tipo, ma mai come nel caso del quartetto britannico la questione pare ben più complessa. Ogni componente della band ha composto brani che hanno raggiunto la top five delle classifiche (cosa non riuscita nemmeno ai Beatles), ma in particolare i brani dei Queen possedevano, e possiedono, una caratteristica ben riconoscibile al primo ascolto: la chitarra di Brian May. Cresciuto come i suoi coetanei con i miti del rock n’ roll e innamoratosi istantaneamente di Hendrix, May rimase tuttavia colpito soprattutto da Cliff Richard e gli Shadows, per via del loro suono metallico, fuori dagli schemi dei tempi. Sarà proprio la ricerca di quel sound (unita alle difficoltà economiche della sua famiglia) a spingere May ed il padre a costruirsi artigianalmente una chitarra, la Red Special, che rimane ad oggi un unicum nella storia dello strumento, ma che tuttavia non può certo spiegare in toto il “segreto” del suono Queen. A questa va infatti aggiunta la tecnica di May, elevata ma mai esibita gratuitamente, unita ad una varietà di effetti, a dire il vero anche questa piuttosto contenuta, che il musicista padroneggiava come pochi nei primi anni settanta, rendendo i pezzi dei Queen immediatamente riconoscibili. Tra questi, uno dei più celebri è di sicuro il delay: utilizzando tre banchi di amplificatori, il riccioluto chitarrista era in grado di ottenere un suono che si ripeteva tre volte con identico ritardo per ogni banco, così da riuscire a suonare diverse parti di chitarra contemporaneamente e senza andare fuori tempo. Combinando più delay il suono della chitarra poteva in questo modo  moltiplicarsi. L’esempio più lampante di questo effetto, utilizzato anche dal vivo per sopperire al fatto di essere l’unica chitarra sul palco, è probabilmente costituito da “Brighton Rock”, traccia di apertura di “Sheer Heart Attack” e dal suo celebre solo riproposto dal vivo fino ai giorni nostri. Impossibile non citare poi il celebre Treble Booster, un pedale progettato da Greg Fryer  in grado di saturare lo stadio finale di amplificazione e che, unito ad un preamplificatore costruito da John Deacon, divenne il protagonista assoluto delle numerose sovraincisioni ed armonizzazioni di cui straripano i primi album del gruppo. Proprio la tecnica della chitarra multistrato portò il gruppo a sottolineare il non utilizzo di sintetizzatori all’interno dei propri album fino alle registrazioni di “The Game”, cosa che ancora oggi, ascoltando album come “A Night At The Opera” (non è un’orchestra quella che suona su “Good Company”) o “Queen II” risulta difficile a credersi. Infine, un cenno doveroso al famoso six pence che May decise di utilizzare come plettro: la relativa morbidezza del metallo, unita alla zigrinatura fine in grado di non rovinare le corde dopo poche ore, ma soprattutto al particolare suono prodotto dal contatto con queste portò il musicista ad utilizzare la moneta sia in studio che sul palco. Quando la zecca inglese smise di coniarla, egli ottenne comunque la possibilità di ottenere delle repliche che portassero la sua effige e che fino a pochi anni fa era possibile acquistare online e in concerto.