Robby Krieger Dopo I Doors

Se, dopo aver provato a rimettere maldestramente insieme il gruppo insieme ai compagni, l’apollineo Ray Manzarek si mise immediatamente alla ricerca del lato dionisiaco che aveva perso con la scomparsa di Jim Morrison, tentando addirittura di mettere in piedi una band con un Iggy Pop al proprio apice autodistruttivo, diverso fu in parte l’approccio alla nuova vita musicale di Robby Krieger. Ad onor del vero, la nascita della Butts Band, primo tentativo di uscire dall’orbita Doors insieme all’amico John Densmore nel 1974, portava dietro di sé innumerevoli strascichi dell’esperienza comune precedente, senza volerne tuttavia scimmiottare sound e attitudine: la band nacque infatti quasi per caso a Londra, quando i tre ex membri del gruppo erano alla ricerca di un sostituto credibile del Re Lucertola. Tuttavia, mentre le audizioni nella capitale inglese iniziavano a prendere piede, Manzarek tornò improvvisamente a Los Angeles per assistere la moglie in attesa del primo figlio, decretando di fatto la disfatta del progetto e l’inizio della nuova avventura dei due musicisti rimasti. Reclutati Jess Roden, ex leader dei Bronco, Roy Davis e Phil Chen, che poi seguirà Krieger fino agli anni duemila in tutte le incarnazioni dei nuovi Doors, i due musicisti diedero così vita ad un combo dedito ad un rock fresco e vario nelle scelte stilistiche, che non mostrava nemmeno un briciolo dell’oscurità che aveva reso così affascinanti i testi di Morrison, né tanto meno quel talento cristallino da hit maker che aveva sempre fatto parte dell’anima di Krieger, ma che allo stesso tempo poteva essere visto come la naturale prosecuzione del discorso iniziato con ‘Other Voices’ e ‘Full Circle’. Proprio come aveva appena fatto l’amico Manzarek con il proprio ‘The Golden Scarab’, per l’omonimo debutto i due reclutarono il fido Bruce Botnick alla console, ma il risultato, seppur apprezzabile, non convinse né pubblico né critica, probabilmente ancora orfani di un sound che non si rassegnavano a veder perso per sempre. Forse anche per questo, per il successivo ‘Hear And Now’ entrambi decisero di sciogliere la formazione precedente e formarne una composta esclusivamente da musicisti americani, ma l’impeto nazionalista, ad ogni modo, si rivelò un fiasco completo: il disco non entrò nemmeno in classifica, decretando di fatto la fine del progetto. Irrequieto e incapace di rimanere senza nulla tra le mani, Krieger decise allora di allontanarsi definitivamente da quel rock che aveva sposato a Venice Beach ma che forse non aveva mai sentito pienamente proprio suo, per abbracciare un nuovo corso fatto soprattutto di jazz e ritmi flamenchi, tornando così alle proprie origini musicali. Oltre a collaborare in studio e dal vivo con i Blue Öyster Cult, altra band completamente fuori dagli schemi del movimento Peace And Love americano come i Doors, tra la fine degli anni ’70 e la metà del decennio successivo videro così la luce ben tre album di buona fattura e molto cuore come ‘Robbie Krieger & Friends’, ‘Versions’, album di cover in cui spiccavano le versioni di ‘Street Fighting Man’ e la nostalgica ‘The Crystal Ship’ e l’omonimo Robby Krieger, i cui echi zappiani erano frutto della presenza di Don Preston e Arthur Barrow dei Mothers Of Invention. Nonostante la critica fosse dalla sua parte e ormai si fosse ritagliato un ruolo di tutto rispetto in ambito jazz rock, il successivo e sciapo ‘No Habla’ (1989) porrà temporaneamente fine alle velleità solistiche del chitarrista americano, che si ripresenterà sul mercato solo undici anni più tardi col sorprendente ‘Cinematix’, una raccolta di brani fusion di chiara ispirazione cinematografica in grado di riportare il sound dei pedali di Krieger alle orecchie delle nuove generazioni, proprio pochi anni prima di poterlo rivedere per tutto il decennio successivo in compagnia di Manzarek per la riedizione dello storico marchio Doors. Proprio quando nessuno si aspettava un nuovo capitolo della sua discografia, dieci anni più tardi, durante una pausa del progetto Manzarek-Krieger, la voglia di rituffarsi nell’amata jazz fusion tornò a colpire il buon Robby, che si rinchiuse per una settimana in studio per dare vita a ‘Singularity’, che nella sua mente avrebbe dovuto essere l’erede naturale del precedente ‘Cinematix’, ma che a causa della poca ispirazione e della mancanza di idee, finì col deludere le aspettative e ad annoiare anche i fan più accaniti.