Quando Bowie Salvò I Mott The Hoople

Sentire oggi dal vivo Ian Hunter, superati i settant’anni, intonare All The Young Dudes può far sorridere, ma d’altra parte dovrebbe valere lo stesso per gente come gli Stones o gli Who, che parlano ancora con estrema convinzione di droghe o del morire prima di diventare vecchi. E pensare che quel pezzo venne scritto da David Bowie quando i Mott The Hoople già non esistevano più…

Attiva dal finire degli anni sessanta, la band debuttò con l’album omonimo che presentava già in embrione tutte le peculiarità che avrebbero poi caratterizzato i lavori futuri: voce chiaramente ispirata a Dylan, celebri cover (You Really Got Me, Laugh At Me) ed una sfrontatezza che farà scuola negli anni a venire. E’ dal vivo, però, che il gruppo era in grado di dare il meglio di sé, con show incendiari che in brevissimo tempo fecero giungere la loro fama ben oltre i confini britannici. Purtroppo, al forsennato lavoro in fase di incisione non corrispondevano vendite in grado di consentire loro di dormire sonni tranquilli. Nei due anni successivi videro infatti la luce ben tre full length album, che vendettero così poco da costringere il gruppo al ritiro dalle scene, nonostante l’attività concertistica andasse a gonfie vele e non accennasse ad alcun minimo rallentamento. Ascoltare oggi brani come Mad Shadows e Wildlife, ma soprattutto Brain Capers mette chiaramente in luce il fatto che, probabilmente, i musicisti fossero un troppo avanti coi tempi per essere capiti appieno dai loro contemporanei. Delusi e sconsolati dal fatto che tutti i propri sforzi fossero andati in fumo, i musicisti decisero di abbandonare qualsiasi velleità artistica, quando David Bowie, loro accanitissimo fan, si offrì come produttore proponendo loro due pezzi: Suffragette City, rifiutata da Hunter e soci e All The Young Dudes, certamente più vicina all’idea di rock della band e scelta come ultima cartuccia prima di mollare. Di colpo, per una di quelle cose inspiegabili della storia del rock, la Hoople mania finalmente esplose, ricompensando i musicisti per gli anni passati. Curioso è notare come la tracklist del nuovo disco presentasse un’altra cover di lusso, quella Sweet Jane scritta da un altro artista appena riportato alla ribalta proprio da Bowie: Lou Reed. L’anno seguente vide la pubblicazione di Mott, considerato il miglior album del gruppo anche per via di quell’inno generazionale che fu All The Way From Memphis, dedicato ad ogni amante della musica e ripreso nei decenni successivi da miriadi di artisti. Come speso accade, però, al successo corrisposero i primi screzi: il primo ad andarsene fu il tastierista Verden Allen, seguito a ruota dal chitarrista e fondatore Mick Ralphs, deciso a fondare i Bad Company in compagnia dell’ex Free Paul Rodgers. La fortuna, contrariamente ai rapporti interni, continuò invece a sorridere al gruppo che, col successivo The Hoople, dimostrò di avere ancora diverse cartucce da sparare. Ideale e naturale seguito del disco precedente, Mott presentava brani seminali quali The Golden Age Of Rock And Roll e Marionette influenzeranno tanto la new wave, quanto gruppi come i Queen, dimostrando ancora una volta quanto avrebbe perso la musica senza l’intervento salvifico del Duca Bianco. Quando Hunter, sull’orlo di una crisi di nervi, lasciò la band al proprio destino dedicandosi alla propria carriera solista insieme a Mick Ronson (storico chitarrista dello stesso Bowie), il fermento mediatico intorno ai Mott The Hoople iniziò inevitabilmente a scemare. I successivi mediocri Drive On e Shouting And Pointing passarono praticamente inosservati, decretando di fatto la reale fine del sogno. Quando ormai le speranze di rivedere insieme i vecchi amici sullo stesso palco sembravano sepolte, ecco che prima nel 2009 per celebrare il quarantesimo anniversario del gruppo e successivamente nel 2013, il mito tornò a vivere per poche sere. L’Hammersmith HMV Apollo, già storico Hammersmith Odeon, divenne così la suggestiva location scelta da Hunter e soci per la prima storica reunion, che vide la commovente presenza, ma solo per alcuni pezzi, del batterista originale Dale Griffin ormai seriamente malato. Meno genuine ma non meno commoventi le date di qualche anno dopo, accolte come l’ennesimo modo per tornare young dudes appena prima della fine.