1991: L’Anno Che Cambiò Il Rock

Ci sono anni che, per una serie di motivi concomitanti, finiscono per rimanere impressi nella memoria collettiva, sui quali si scrivono saggi, libri e di cui si discute per decenni. Anni in cui eventi politici, guerre, movimenti sociali finiscono per sconvolgere l’opinione pubblica, per cambiarne le idee e, spesso, per spingerla alla lotta per un futuro migliore. Quasi sempre, questa forza motrice finisce per rispecchiarsi anche nella musica prodotta in quei periodi. Pensiamo al 1967: la guerra in Vietnam imperversava da anni, gli anni del boom economico erano lontani e la convinzione che la musica potesse cambiare il mondo non fu mai così radicata nei musicisti e in chi seguiva i loro dettami. Quell’anno uscirono album epocali, che segnarono una rottura profonda tra i figli e propri padri e che segnarono due generazioni; Zappa produsse “Absolutely Free”, I Beatles “Sgt. Pepper” e “Magical Mistery Tour”, i Doors uno dei debutti più sconvolgenti di sempre, Jimi Hendrix “Are You Experienced?” e “Axis: Bold As Love”. Quell’anno vide anche l’uscita di “Big Brother and the Holding Company”, del debutto di David Bowie e di “Disraeli Gears” dei Cream, di “Their Satanic Majesties Request” e “The Velvet Underground & Nico”. Un caso? Difficile pensarlo, soprattutto perché anche i servizi segreti capirono che la controcultura avrebbe potuto davvero sovvertire il potere o, per lo meno, creare molti problemi a chi reggeva le redini del gioco…

Qualcosa di simile avvenne più di vent’anni dopo e ormai venticinque anni fa, quando la rivoluzione la tentarono proprio i figli di chi aveva ipotizzato un cambiamento che alla fine non ci fu mai. La chiamarono Generazione X, un termine che diceva tutto e niente, ma che diede l’ultimo vero scossone alla storia del rock e che segnò profondamente la cultura e lo stile di vita di milioni di persone. Il 1991 può essere così messo a confronto con il suo predecessore: la Guerra del Golfo come nuovo terrore mondiale, nessuna politica sociale, forbice tra ricchi e poveri sempre più larga e una rabbia che esplose improvvisamente, ma che venne covata per anni. In quei dodici mesi debuttarono i Pearl Jam, i Soundgarden diedero alle stampe “Badmotorfinger”, ma soprattutto uscì “Nevermind”, che cambiò per sempre la vita dei Nirvana, di molti adolescenti e il cui successo, probabilmente, condannò la già debole psiche di Kurt Cobain. Non fu però il solo grunge a regalare pietre miliari: l’intero movimento sembrò godere di un apice che si pensava ormai irripetibile. Basti pensare che gruppi da cui sembrava uscito quasi tutto, riuscirono a registrare album importantissimi che in alcuni casi ne segneranno la carriera: è il caso dei Metallica diventati superstar grazie all’album omonimo, dei Guns N’ Roses con i due “Use Your Illusion” e dei Queen, che con “Innuendo” dimostrarono che la salute di Freddie e vent’anni di carriera non avevano spento il fuoco. Gli U2 riuscirono a stupire nuovamente il mondo con la svolta di “Achtung Baby” e i R.E.M con “Out Of Time” e il successo planetario di “Losing My Religion”; i Motörhead diedero alla luce uno dei loro massimi capolavori, 1916, che convinse anche gli scettici delle capacità di autore di Lemmy Kilmister, Michael Jackson lasciò Quincy Jones ma non lo scettro di King Of Pop, mentre le nuove sonorità di Cypress Hill, Massive Attack e Primal Scream dimostrarono che si poteva vivere anche di altro dal rock tout court. Non sempre viene alla mente, ma lo stesso anno un gruppo semi sconosciuto chiamato Slint diede alla luce “Spiderland”, che di fatto divenne forse il miglior manifesto possibile del Post Rock. In Italia i dischi più venduti furono “Benvenuti In Paradiso” di Antonello Venditti, “Malinconoia” di Marco Masini e “Cristina D’Avena e i tuoi amici in TV 5”. Forse la rivoluzione avremmo dovuto farla noi…