The Cult – Hidden City

Non riuscirò mai a capire perché un gruppo come quello dei Cult venga spesso dimenticato quando si parla dei grandi della musica rock. Forse perché in troppi si sono focalizzati su una delle varie ere del gruppo, diventando fan di una o dell’altra, senza capire che la caratteristica principale della band capitanata da Ian Astbury sta proprio nel riuscire ad evolversi in continuazione. Non è un caso che ad ogni nuovo album i critici facciano sempre riferimento ai soliti cliché, senza mai mettersi davvero a comprendere il significato sotteso alle loro opere. Hidden City arriva a quattro anni dallo splendido Choice Of Weapon e, stando alle parole di Astbury, chiude un’ideale trilogia iniziata nel 2007 con Born Into This. Da sempre intrisi di spiritualità e misticismo, i testi della band sono ancora una volta il fulcro dell’opera: questa volta l’argomento principale sembra essere il rapporto con l’altro, considerato anche come l’altra parte di ognuno di noi, e la via principale di ogni risposta viene individuata nel cuore, quella città nascosta cui il titolo fa riferimento. Musicalmente parlando, i territori sono proprio quelli degli ultimi due album, segno che dopo tanti anni di mutamenti la band è probabilmente riuscita a trovare se non una formula, quanto meno un sound che le si addice più di altri. Smettiamola dunque di cercare She Sells Sanctuary o Wild Flower in ogni traccia, tanto non la troveremo. Ed è giusto così, perché il desiderio di sentire suonare una band di cinquantenni nello stesso modo per trent’anni è svilente e perversa. I Cult oggi suonano così, suadenti, di classe, ma con quel fuoco che li accompagna da sempre ancora vivo e caldissimo: basta l’ascolto di brani come In Blood, Lillies o Deeply Ordered Chaos per rendersene conto immediatamente. Non mancano certo le sonorità tipicamente Cult, che recentemente una band come i Darkness è riuscita a riprodurre fedelmente in Open Fire: un esempio è No Love Lost, ma anche Hinterland, che aveva già colpito come secondo singolo. Come sempre, poi, altre gemme nascoste spunteranno col passare del tempo, perché una delle cose più affascinanti della band post reunion è proprio la capacità di realizzare brani meno immediati di un tempo, ma con più chiavi di lettura. Cenno finale al titolo dell’album: Astbury ha dichiarato essergli stato suggerito indirettamente da Carlos Tevez che, ad ogni gol con la Juventus, alzava la maglia per mostrare il nome di quartieri del suo paese che in genere non si trovano sulle guide turistiche, perché spesso vittime del peggior degrado. Nascosti, appunto, ma non dimenticati.

 

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