Gli Oasis Di Definitely Maybe

Se le celeberrime risposte dei fratelli Gallagher ad ogni domanda circa una fantomatica reunion paiono confermare che, probabilmente, nulla per ora riuscirà a rimetterli insieme, questo allontanamento forzato dalla loro musica può dare lo spunto per guardare con più lucidità, e un po’ di nostalgia, i primi passi di una delle band più chiacchierate degli anni novanta. Partendo magari da quel Definitely Maybe da cui tutto ebbe inizio e che per molti fece da spartiacque tra l’epopea grunge, conclusasi drammaticamente con il suicidio di Kurt Cobain dopo aver dominato la prima parte del decennio, e quella del cosiddetto Brit Pop, genere per altro poco definibile e nato probabilmente nei sobborghi di Manchester molto prima della venuta degli Oasis. Al di là della paternità di quelle sonorità, che restano il frutto complesso di variabili che arrivarono ad amalgamarsi senza un vero motivo in un momento ben preciso, una cosa è certa: se per l’ascoltatore medio e ignorantello gli Oasis ancora oggi sono quelli di Wonderwall e Don’t Look Back In Anger, insomma quelli di (What’s The Story) Morning Glory?, per i fan che ancora oggi si muoverebbero verso la Mecca a piedi per una reunion della formazione originale (e ce ne sono più di quelli che crediate), Definitely Maybe resta il Disco della band, quello che non può mancare in nessuna discografia che si rispetti e che, per assurdo, potrebbe stare sullo stesso gradino di album come Sticky Fingers dei Rolling Stones o Revolver dei Beatles, senza dover essere tacciato di lesa maestà. Insomma, uno di quegli album cui la storia ha già attribuito lo status di evergreen. Ma le cose stanno davvero così?

Un’industria come quella discografica, da sempre affamata di nuove proposte in grado di soppiantare le precedenti e dalle quali succhiare ogni energia vitale, non poteva certo non intuire che la morte di una figura come Cobain avrebbe per forza di cose allontanato l’interesse da quella Seattle in cui ogni casa discografica aveva piantato le radici dall’inizio del decennio. Nuovi fermenti stavano crescendo molto in fretta, come dimostravano i primi passi di una band come i Radiohead, ma di sicuro a chi tirava le file del music business non sembrò vero di trovarsi tra le mani un album come questo, che sfruttava il lavoro sporco fatto per anni da band come Smiths, Primal Scream e Stone Roses, lo mischiava ad un amore al limite dello stalking per i Beatles e lo sporcava quel giusto per risultare anche incazzato e contro la morale vigente. Mantenendo persino un filo conduttore con il rock classico, soprattutto sul versante sesso droga e rock n roll. Il tutto, per altro, senza apparire come un fenomeno creato a tavolino. Sebbene a distanza di tanti anni sia ancora più evidente quanto quella della band di Manchester rimanga una storia prettamente europea, è pur vero che ad oggi Definitely Maybe, forse uno dei pochi album nella storia a contenere un ossimoro nel titolo, resta una delle cose migliori uscite nel corso di un decennio in cui la concorrenza non fu certo di poco conto. È vero, Nevermind scalzò Michael Jackson dal primo posto di Billboard, decretando di fatto la fine di un’epoca che pareva inscalfibile, mentre gli Oasis in patria superarono i Tre Tenori, ma la sostanza non cambia: questo è uno di quei dischi in cui tutto suona maledettamente perfetto. Inoltre, poter analizzare gli eventi con così tanta distanza di tempo ci permette anche di vedere chiaramente quanto il debutto degli Oasis ai giorni nostri suoni infinitamente più fresco del suo blasonato successore, nel quale è ormai evidentissimo un certo paraculismo dettato dall’incredibile risposta al lavoro precedente e che portò Noel Gallagher, forse il più grande talento melodico della sua generazione, ad accentuarne le caratteristiche che ne avevano decretato il successo. Nell’attesa spasmodica di una reunion, che assume di giorno in giorno le sembianze di quella dei Guns ‘N’ Roses e che contribuisce a tenere i due contendenti costantemente sulle prime pagine dei tabloid inglesi, noi preferiamo accontentarci ancora della musica, per la quale non ci servono ristampe ricche di b-sides e materiale scartato, ma un cd di poco più di cinquanta minuti pieno di graffi che ci siamo portati dietro per almeno due estati, prima di diventare grandi.