Vasco Rossi – Stadio Olimpico Roma – 22/06/2016

Sarebbe riduttivo e ingiusto pensare che i quattro concerti sold out di Vasco allo stadio Olimpico siano il risultato della scelta dell’artista di non fare altri show nel corso dell’estate 2016. Per l’occasione, il Blasco pare tirato a lucido, tanto che gli anni dei problemi fisici che lo tennero fuori dai giochi per lungo tempo sembrano davvero un ricordo lontano. La prima gioia della serata arriva immediatamente, quando ancora non hai avuto modo di renderti conto che la band è già tutta sul palco: dopo anni, infatti, Lo Show viene scelta come opener del concerto, segno inequivocabile che non ci troviamo davanti alla sterile riproposizione dei concerti della scorsa estate. Chi ha amato un certo Vasco, sa bene quanto il brano che dava inizio anche a Gli spari sopra, intriso di tutta la filosofia nichilista e rabbiosa che solo lui ha saputo cantare in questo modo, sia uno dei modi migliori per dare il via a serate come questa e il fatto che non venisse eseguita dal vivo dal 1999 rende il tutto ancora più emozionante. La successiva Lo vedi riporta subito lo stadio all’attualità, effettuando un salto temporale di vent’anni e ricordandoci che i brani di Sono Innocente, dal vivo, comunque funzionano dannatamente bene. La sensazione (forte) è che il Signor Rossi stia davvero bene e quando Will Hunt, con un solo di batteria che sembra quello di Painkiller dei Judas Priest, dà il via a Devizioni, il pubblico è ormai completamente nelle mani del gruppo. La prima parte dello show viene comunque dominata dalla produzione più recente, con l’introduzione di Accidenti come sei bella e le riproposizioni di Sono innocente ma…, Guai, Come Vorrei e quelli che ormai sono due classici moderni della sua attività live, L’uomo più semplice e Manifesto futurista della nuova umanità. La scelta di lasciare i veri classici, quelli che ricollegano il Vasco di oggi a quello decadente e fatalista di un tempo, è vincente: il crescendo di emozioni che porta dal violento interludio musicale (concluso da una splendida versione strumentale di Anima fragile) ad Albachiara è qualcosa che nessuno può permettersi nel nostro paese, c’è poco da fare. Tra una C’è chi dice no da brividi e una Sballi ravvicinati del terzo tipo che include Fegato, fegato spappolato, Sensazioni forti e Dimentichiamoci questa città, c’è ancora spazio per due brani più recenti come Quante volte e Vivere non è facile, che per intensità potrebbero comunque appartenere allo stesso periodo storico dei brani tra cui sono inserite. Ottimi anche i due medley, uno dei quali acustico, che hanno il merito di riportare in uno stadio un pezzo come La noia, tra le cose più belle mai scritte in questo Paese negli ultimi cinquant’anni. I bis, nemmeno a dirlo, sono l’apoteosi del Vasco pensiero e concludono nel migliore dei modi un concerto durato quasi tre ore. Va ribadito: Vasco è in grandissimo spolvero e la scaletta del concerto rappresenta appieno le sue due anime (apparentemente) antitetiche. Nonostante la consueta tendenza alla nostalgia e alla rievocazione di momenti passati che non potranno mai tornare, allo stesso modo le sue liriche sono sempre state intrise di voglia di andare avanti e di speranza nel futuro. Un futuro che Vasco ci invita ad affrontare senza alcuna paura, perché il problema non è l’odio, quanto il terrore che esso è in grado di mettere nelle persone.