Marilyn Manson Incanta Torino

I motivi per vedere un concerto di Marilyn Manson sono sempre molteplici, a maggior ragione se il concerto del Reverendo si tiene a Torino, la città italiana esoterica per eccellenza. Inevitabilmente, i sold out estivi sono solo un ricordo, ma la cosa era prevedibilissima se consideriamo che sono passati pochissimi mesi dall’ultimo passaggio italiano del Reverendo. Se aggiungiamo, poi, la miriade di eventi di livello altissimo programmati nel mese di novembre, non è difficile capire i motivi di quello che, a tutti gli effetti, è apparso come un piccolo passo indietro rispetto al recente passato. Eppure, come dicevamo, i motivi per raggiungere Torino c’erano eccome. Innanzitutto, nonostante già in estate fossero presenti in scaletta brani tratti da Heaven Upside Down, questa era la prima data italiana successiva all’uscita del decimo album della sua carriera. Gli altri motivi di interesse, va detto, vanno ricercati in episodi meno legati alla musica in sé e per sé, ma comunque in grado di alimentare quella mitologia (spesso autoalimentata dallo stesso artista) che da sola ha condotto centinaia di fan ai suoi concerti nel corso degli anni. Sacrificherà qualcosa al Demonio? Sarà davvero così strano quello che fa? Brucerà davvero la Bibbia? Se alle solite amenità, aggiungiamo poi lo zampino del fato, ecco che la serata è portata a casa in partenza. Prima il crollo del palco, che, un po’ come fu per Dave Grohl e Axl Rose, costringe Manson a cantare su un trono per tutta la durata dello show, poi la curiosità di vedere la band orfana di Twiggy, cacciato dal suo datore di lavoro poche ore dopo lo scandalo a sfondo sessuale che lo ha colpito qualche settimana fa e, per non farsi mancare nulla, la voglia di essere i primi a vedere dal vivo Marilyn dopo la scomparsa di Charles, hanno fatto passare in secondo piano tutto il resto. Compresa una scaletta che, comunque la si voglia vedere, resta sostanzialmente invariata da troppo tempo. Seppur in condizioni di salute non ottimali, Manson ci mette davvero l’anima, giocando col mestiere che non gli è mai mancato e rimanendo come sempre in equilibrio tra la presa per i fondelli totale e la provocazione gratuita, data in pasto alle scimmie. Cosa resta, dunque, a livello artistico della serata? Moltissimo, soprattutto perché, al di là che la sua nuova musica possa piacere o meno, è chiaro che oggi Manson sia molto più musicista che personaggio e questo non può che essere un bene. Inoltre, resta la convinzione di trovarci di fronte ad un uomo che, dopo anni di appannamento evidente, è riuscito a togliersi di dosso quella patina di maledetto che l’aveva trasformato ormai in un macchietta, recuperando molte delle caratteristiche che lo avevano reso celebre alla fine degli anni novanta, ma senza più scimmiottare se stesso e il suo passato. Oggi, le folli accuse post Columbine, le messe cantate contro di lui e i dischi bruciati in piazza suonano ancora più ridicole di allora. A nessuno interessa più sputtanare Manson, perché Manson non dà più fastidio a nessuno. Per fortuna, ci viene da dire.