Toolbox: Ian Gillan Da Riscoprire

Facendo una breve ricerca in rete mi sono accorto di una cosa sconcertante: benché ci siano centinaia di recensioni di dischi dei Deep Purple e di album di Ian Gillan, anche dei meno riusciti, nessuno parla di Toolbox. Anche per questo mi sento di considerare il disco di Gillan del 1991 il più dimenticato in assoluto dell’epopea porpora. E dire che, ai tempi, Chris Welch, colui che aveva scoperto i Cream, era stato lapidario: se Toolbox non avrà successo in ogni parte del mondo, allora vorrà dire che il rock è definitivamente morto. Che il rock non sia morto nel 1991 è evidente, visto l’eccezionale numero di capolavori pubblicati quell’anno, ma di certo che nessuno abbia mai considerato Toolbox uno degli album migliori dell’anno resta uno dei grandi misteri della storia della musica. Mentre i colleghi Deep Purple continuavano a promuovere l’altrettanto dimenticato Slaves And Masters, Gillan si rappresentava infatti al mercato col lavoro più incredibile dai tempi di Glory Road. Le undici tracce dell’album scorrono come un treno, mostrando un songwriting molto superiore alla media dei colleghi (anche più giovani) e senza la presenza di alcun riempitivo. Una cosa abbastanza comune all’epoca, ma davvero sorprendente se pensiamo che Gillan fosse attivo dalla fine degli anni sessanta e che tutti pensavano avesse già sparato ogni cartuccia a disposizione. È quindi giunto il momento di riappropriarsi di un album che definire dimenticato è persino sbagliato: Toolbox è un disco che in pochissimi hanno ascoltato. E se, per fortuna, oggi Born Again, il disco dei Black Sabbath con Gillan alla voce, è finalmente riconosciuto come uno dei migliori della band di Birmingham, è giunto il momento di fare la stessa opera con un lavoro che presenta persino affinità con quello. «Ricordo con grande affetto quell’album. Non fu un periodo facile», mi disse Gillan tempo fa, «Scrissi Don’t Hold Me Back per mia moglie che si trovava in ospedale per un’operazione molto seria. Era il mio modo per farle capire quanto l’amavo. Lei era sotto i ferri e avrei voluto dirle quanto tenevo a lei e non trovai altro modo che scrivere una canzone. Se ci penso ho ancora i brividi. Amo quel pezzo in modo pazzesco, il riff, l’incedere lento, l’arrivo della batteria in controtempo…Tutto. Poi ricordo il piacere di registrarlo, l’entusiasmo. Andai un po’ in depressione dopo l’uscita e il quasi fallimento del disco. Fu un periodo davvero difficile e in quell’album urlai come non facevo da anni. Mi dicevano che non urlavo più in studio e dimostrai di saperlo fare ancora. L’insuccesso mi costrinse a riflettere su molte cose. Fare il rocker, l’hard rocker in particolare, è stato stupendo, ma nella vita convivono più aspetti e concentrarsi solo uno di questi è limitativo. Lo capii anche in quel frangente». Pensavate che Gillan non potesse più urlare come ai tempi di Deep Purple In Rock? Vi sbagliavate di grosso. In Toolbox Ian inizia a urlare alla prima traccia e non smette fino a che le vostre orecchie iniziano a sanguinare. Il tutto senza sfociare per forza di cose in sonorità per pochi: il blues è infatti il collante di tutto. Molti contestano a The Battle Rages On, il disco di due anni dopo che vide Gillan tornare nei Deep Purple, il fatto di essere stato scritto per essere cantato da Joe Lynn Turner. Ecco, se Toolbox fosse uscito a nome Deep Purple, forse oggi tutti ne parlerebbero come di un capolavoro assoluto. Provare per credere.