Max Weinberg: Io E Springsteen

Pur essendo da decenni Bruce Springsteen e i membri della sua E Street Band oggetto di analisi approfondite, spesso al limite della maniacalità, la figura di “Mighty” Max Weinberg non è mai stata considerata più di tanto. Da sempre restio a stare al centro dell’attenzione, il metronomo del Boss, col tempo, ha tuttavia saputo ricoprire il ruolo lasciato vacante da Clarence Clemons: il mezzo di passaggio tra i voleri di Bruce e la sua band. In un pomeriggio assolato, davanti ad una vodka e a un Jack Daniel’s, consegno a Max un cartello con una richiesta per il prossimo tour e parliamo del suo futuro e di quello della E Street Band…

A quindici anni dalla reunion della E Street Band non avete ancora suonato Frankie dal vivo in Italia, questo cartello è qui per ricordartelo…
“Lo porterò a Bruce e la prossima volta la faremo di sicuro. Frankie è un pezzo stupendo, è uno di quei brani che solo un folle come lui può aver pensato di non inserire in un album ufficiale, ma non scopro certo oggi questo lato del suo carattere. Nonostante tutti quelli che abbiano sentito almeno un suo disco lo considerino uno degli autori più importanti del ventesimo secolo, lui continua a cercare la canzone perfetta e a scartare brani con cui altri avrebbero fatto un’intera carriera di successi. Frankie è solo una delle centinaia.”

Basta vedere un solo concerto della E Street Band per capire quanto quello tra te e Bruce non sia un puro rapporto di lavoro…
“Non lo è mai stato e mai avrebbe potuto esserlo tra persone che si sono amate dal primo momento. Tra noi ci sono stati momenti di difficoltà, come in ogni rapporto che si rispetti e che valga la pena di essere vissuto, ma entrambi abbiamo sempre saputo che tutto sarebbe tornato come un tempo. Anche durante il periodo della separazione, alla fine degli anni ottanta, ognuno di noi sapeva perfettamente che la nostra storia non avrebbe rispecchiato quella di Bobby Jean, con i due che non riescono ad incontrarsi di nuovo e con l’augurio di ogni bene possibile. Noi saremmo tornati a condividere le nostre vite e così è stato.”

In effetti quella della E Street Band potrebbe essere la storia d’amore per antonomasia, con la crisi che si conclude con i due amanti che capiscono di non poter vivere lontani uno dall’altro. Lo stesso Bruce sostiene che si possa lasciare la band solo morendo.
“Infatti è così. Come vedi lui continua ad avere qualche scappatella, ma poi torna sempre al suo primo amore e così ognuno di noi (ride, ndr). Io lo dico spesso a mia moglie, col rischio di trovare la serratura cambiata: io ti amo, ma devi capire che amo anche lui. In pratica sono bigamo. Sto scherzando, ma il legame è così difficile da spiegare se non in termini amorosi che mi riesce complicato raccontare cosa sia il mio rapporto con questo gruppo in altro modo. Pronunciò quella frase quando ci incontrammo dopo la morte di Clarence e volle poi scriverla sul libretto di Wrecking Ball, in modo che tutti capissero che saremmo andati avanti a fare l’unica cosa per cui siamo al mondo. La gente pensa che dopo la morte di Danny (Federici, ndr) e Clarence abbiamo pensato molto se fosse giusto andare avanti, mentre in realtà non ci abbiamo riflettuto nemmeno per cinque minuti: l’unica via era proseguire, come una famiglia che mentre elabora un lutto deve continuare a vivere la propria vita.”

La sensazione è che dopo la scomparsa di Clemons sia diventato un po’ tu il collante tra Springsteen e il resto del gruppo, per lo meno da quello che si vede sul palco. Non smetti mai di guardarlo e lui sa sempre dove lo condurrai…
“Tutta la band fa riferimento su noi due da questo punto di vista. Tutti guardiamo lui, perché è quello che decide ogni cosa che accade sul palco. Altrimenti non lo chiamerebbero il Boss. È anche vero, però, che il batterista dal vivo ricopre un ruolo più importante che in studio, poiché da lui parte tutto e arriva tutto: se sbagliassi un attacco o un finale il pezzo sarebbe uno schifo completo, quindi non posso mai distogliere gli occhi da lui. Inoltre so leggere le labbra come se fossi sordo, quindi sono l’unico a capire il pezzo che grida Bruce alla chiusura di quello precedente! E poi c’è un altro motivo: molti anni fa, durante un concerto in California, mi feci così prendere dall’entusiasmo della gente che andai avanti a suonare per dieci secondi dopo la fine del pezzo, che in pratica finì con me come unico musicista. Al mio imbarazzo si aggiunse il rimprovero di Bruce, che fulminò con lo sguardo per tutta la durata dello show!”

Ho letto interviste di Little Steven in cui ammetteva di avere delle difficoltà nel ricordarsi un numero così elevato di pezzi da un secondo all’altro, come avviene durante i vostri concerti. Ti è mai capitato di far capire a Bruce che non ti ricordavi un brano?
“La fortuna di Stevie è legata alla cosa che ti dicevo prima: quasi tutti i brani partono con un attacco di batteria, quindi in questo senso io sono sempre quello con la patata bollente peggiore tra le mani. Ho tanti difetti, ma ho la fortuna di aver sempre avuto una memoria di ferro che con l’età non è andata scomparendo, quindi fino ad ora mi è sempre andata bene. Ogni sera però, al momento delle richieste del pubblico, mi sento come quando a scuola facevo i compiti in classe, con lo stomaco che ti si rivolta contro per la tensione e allo stesso tempo per la voglia di capire se sei in grado di farlo. Per questo non potrò mai smettere di fare questo mestiere, perché nulla mi può far sentire in questo modo a più di sessantanni. Tornando alle parole di Steve, se stai attento a quello che fa durante la serata, se per una volta decidi di dedicarti più a lui che agli altri musicisti, avrai di che divertirti con le sue smorfie quando non capisce di che canzone stiamo parlando o quando inizia a suonare a caso perché non si ricorda gli accordi di un brano (ride, ndr).”

Be’, quello capita anche agli Stones, in primis a Charlie Watts, ma loro non se curano! E poi i maligni dicono che se lo possono permettere anche loro, con una backin’ band dietro al palco…
“Sì ma loro sono gli Stones e gli errori fanno parte del loro show, è una questione di attitudine. Se fossero quadrati e precisi perderebbero molto del loro fascino animale. Da un certo punto di vista quello spirito è presente anche nella E Street Band, sopratutto quella prima dell’ultima trasformazione: siamo sempre stati una band stradaiola in certo senso, molto poco legata ai tecnicismi e più legata al feeling che alle diavolerie da guitar hero. Tuttavia, Bruce non ha mai lasciato niente al caso, né in studio né tanto meno dal vivo. Per lui ogni cosa deve essere perfetta, se non le improvvisazioni che, in quanto tali, non sono prevedibili in alcun modo. Mi piace pensare che siamo riusciti ad unire la sensibilità di cantautori come Dylan all’animalità classica del rock n roll. E poi ora che siamo quasi in venti sul palco anche gli errori possono essere mascherati molto meglio!”

In effetti, uno degli elementi distintivi del vostro sound è sempre stato quello di racchiudere in voi i generi più disparati. Lo stesso Springsteen incarna perfettamente più di un’icona della musica rock: può essere Dylan, Elvis o Joe Strummer risultando sempre credibile. Anche se la sensazione è che il futuro sia più vicino al gospel…
“Ne sono assolutamente convinto. Bruce nell’immaginario della gente è ormai una sorta di insieme di tutti gli artisti che l’hanno ispirato e che spesso in seguito si sono fatti ispirare da lui. Può essere Johnny Cash, così come Bob Dylan o Elvis. Non è un caso che continuiamo a fare un numero così elevatro di cover nonostante disponiamo di un canzoniere infinito. Se ci pensi, questo è un po’ il paradosso lungo il quale ci muoviamo da sempre: siamo una sorta di Grande Libro Della Musica Popolare, ma allo stesso tempo siamo stati capaci di creare un suono soltanto nostro. Un esempio lampante di questa cosa credo sia un brano come Bat Out Of Hell di Meatloaf: se consideri che si tratta di una canzone scritta da Jim Steinman, basta il fatto che tra i membri della backing band ci siamo io e Roy Bittan per dare al  brano il sound della E Street Band.”

E il futuro? Non sei d’accordo con chi dice che il vostro sound sia sempre più orientato al gospel?
“Non ci si può abituare all’idea che una persona ti stia per lasciare, nemmeno quando sai la cosa con largo anticipo, come successe Danny. Già dopo la sua morte il nostro sound aveva subito qualche cambiamento, ma l’addio di Clarence ci ha costretto a cambiare completamente la concezione che avevamo della band, nonostante l’arrivo di Jake fosse stato in grado di portare quell’elemento di continuità fondamentale per il gruppo. Ci sono musicisti che non possono essere sostituiti in nessun modo, tanto meno con un solo elemento. Come hai visto, per colmare il vuoto musicale lasciato da Clarence abbiamo dovuto accogliere tra noi una sezione di fiati e delle coriste, modificando per forza di cose anche il nostro sound. Una cosa è certa, non credo che il prossimo album sarà una raccolta di gospel.”

Non sei famoso per dare sfoggio della tua tecnica, anche se le tue avventure extraconiugali con la tua Big Band, Tony Bennett, BB King e Meatloaf dimostrano ampiamente che se volessi saresti un virtuoso. Tuttavia ho sempre pensato che se non fossi stato il batterista di questo gruppo avresti potuto essere quello degli Ac/Dc.
“In effetti Phil Rudd è un metronomo vivente e anche mio figlio tempo fa mi disse la stessa cosa, aggiungendo che però non ero abbastanza rock n roll per farlo(ride, ndr). Se me lo chiedessero non avrei alcuna esitazione ad esibirmi con loro, li adoro e credo mi basterebbe poco per imparare i loro pezzi! Il mio modo di suonare la batteria, in ogni caso, è cambiato molto nel corso degli anni: un tempo mi interessava fare rumore, farmi sentire era l’obiettivo principale e se fossi stato un metallaro avrei di certo usato la doppia cassa! Ora invece ho capito che sono nato per accompagnare i musicisti con cui mi esibisco. Cerco di entrare all’interno delle storie raccontate nelle canzoni e con i brani di Bruce questo mi riesce davvero semplice. Divento un personaggio della storia, ma non un protagonista, una di quelle figure che stanno un po’ ai margini e magari aiutano il cantastorie a narrarla dall’interno. E la mia batteria si muove di conseguenza. Oggi suono in modo molto più semplice rispetto a quando avevo venticinque anni, perché ho capito che tutto deve essere finalizzato alla canzone e non al singolo.”

Ma se dovessi scegliere tu un brano di quelli che non cambiano mai nel corso di una vostra scaletta, come Born To Run per esempio, quale sarebbe?
“Al di là di quello che si può pensare, sui brani che formano l’ossatura di ogni tour c’è molta cooperazione tra noi, non sono cose che decide il solo Springsteen, quindi c’è sempre qualcosa che amo più di altro e sul quale ho avuto un ruolo. Se però dovessi decidere un brano per ogni sera, ti direi Ramrod. Probabilmente ti aspettavi altro, visto che dal punto di vista della batteria non stiamo parlando nemmeno di un brano così vario, ma non puoi capire quanto sia bello da suonare dal vivo. Ha un ritmo che coinvolge subito il pubblico e quelle poche volte che Bruce prende un cartello con quel titolo, si gira a guardarmi come per dire: così faccio contento anche te. Cerco sempre di suonarla come se fosse la prima volta e, a dire il vero, faccio così con Born To Run, perché per me non è così, ma per molti quella potrebbe essere davvero la prima della loro vita.”