W.A.S.P.: Parla Blackie Lawless

La Bestia si è definitivamente trasformata in docile agnellino, senza tuttavia perdere quel fascino oscuro che da sempre ne caratterizza il personaggio. D’altra parte, a noi romantici piace pensare che qualcosa del vecchio Blackie Lawless continui a vivere all’interno di Golgotha, celata sotto le nuove spoglie di cristiano rinato…

Quanto abbiamo dovuto aspettare per un nuovo album degli W.A.S.P.. Non credi che il nuovo corso della tua vita interiore possa mettere in difficoltà chi si avvicinerà al vecchio moniker?

Ma sai, il pubblico metal è tra i più duttili al mondo ed è molto meno becero di quello che la gente sia portata a credere per via dei tanti pregiudizi che lo circondano. Inoltre, l’aspetto ultraterreno è da sempre uno dei più dibattuti in questo settore: se ci pensi bene, non esiste un altro genere musicale in cui il tema del divino venga tirato in ballo così di frequente, e talvolta con un grande studio alle spalle, come nell’hard and heavy. Pensa poi alla storia che ormai può vantare tutto il filone del rock e del metal cristiano, giunta oggi a livelli impensabili anche solo fino a dieci anni fa. Qualcuno mi dice che dovrei archiviare il nome W.A.S.P.: io credo di no, semplicemente si evolve come ogni cosa.”

Eppure, sapere di non sentire più alcuni classici perché vanno un po’ a collidere con la tua fede ritrovata potrebbe creare qualche malumore. Non credi?

Ti confesso che il timore era venuto anche a me ad un certo punto, ma non potrei mai andare contro qualcosa in cui credo solo per compiacere il pubblico. L’unica cosa che ci rimane è il coraggio delle nostre idee e, in questo senso, ho ancora coraggio da vendere. Il mio songwriting, poi, è da sempre influenzato da tematiche religiose o pseudo tali, quindi vedo anche una certa continuità artistica in quello che faccio. Poi è chiaro che alcuni brani classici non sono più compatibili con ciò che sono ora e non mi sento più a mio agio nel pensare di averli scritti. Non rinnego nulla, ci mancherebbe: quello che sono oggi è anche dovuto a quello che ero allora, quindi va bene così. Poi, come ti dicevo prima, il nostro pubblico viene spesso sottovalutato, mentre è più avvezzo a certi temi di molti altri.”

Sicuramente una continuità è evidente rispetto ai due ultimi album della band, anche se qui si percepisce una tensione interiore differente.

“Il disco per moltissimi aspetti suona come una prosecuzione ideale degli ultimi due e ciò è avvenuto in modo assolutamente cosciente e voluto. Volevo dare una continuità marcata agli ultimi album, perché credo che a livello di liriche siamo molto vicini. Oltre che dalla mia ritrovata spiritualità, la gestazione di Golgotha è stata segnata dall’infortunio che ho subito lo scorso anno e che ci ha costretto a rimandare le registrazioni di un anno intero. Si è trattato di un viaggio interessante, ma bisogna stare molto attenti quando si riprende in mano un album dopo tanto tempo, lo imparai ai tempi di The Crimson Idol: non sei più la persona che iniziò a scrivere quell’opera, quindi il rischio è di non riconoscersi più, di aver cambiato visione musicale.”

Potremmo considerare Golgotha come una sorta di personale percorso verso la redenzione?

“Idealmente potrebbe anche esserlo, soprattutto visto con il senno di poi. Chiaramente è impensabile immedesimarsi in qualcosa di raccontato in un passo dei vangeli, perché sarebbe blasfemo e persino malsano, però su un piano strettamente personale devo dire che Golgotha ha rappresentato qualcosa di catartico per me. La Bibbia è piena di avvenimenti molto crudi e dolorosi e non mi stupisce che in molti abbiano attinto da essa per trarne ispirazione. Il problema, semmai, è che molti magari non la leggeranno mai perché convinti si tratti di una perdita di tempo. La mia passione per le vicende bibliche nacque decine di anni fa, quando la mia famiglia mi costringeva a passarci ore e ore. Lì, tuttavia, nacque anche l’avversione nei confronti della Chiesa.”

Nonostante il riferimento alle Sacre Scritture, i testi dell’album sono molto intimi, sinceri e personali. Si tratta forse del tuo album più autobiografico?

“Probabilmente, insieme a The Crimson Idol, possiamo dire che questo disco mi rappresenti molto meglio di altri. Scrivere la mia autobiografia mi ha costretto a rivivere avvenimenti che ancora non avevo elaborato, perché ai tempi magari era più facile tirare avanti senza curarsi delle conseguenze. Ritrovarmele così improvvisamente mi ha spiazzato e ho capito che avevo molto lavoro da fare su me stesso. Anche lavorare a The Crimson Idol aprì diverse porte di quel tipo, ma mi guardai bene dall’affrontare in quel momento tutti i miei demoni. Ho atteso di arrivare a non farcela più per avere quel confronto con me stesso rimandato per decenni. Puoi dunque immaginare quanto di tutto quel vissuto sia finito dentro il disco, senza riuscire né volerlo nascondere.”

I W.A.S.P. sono sempre stati un riflesso di quello che sei (e sei stato) tu umanamente. Golgotha è quindi un buon specchio del Blackie di oggi?

“Assolutamente sì. Io oggi sono questo e non ho nessuna paura di mostrarmi al mondo per quello che sono. Non ho nulla di cui vergognarmi. Ti dirò di più, sono anche soddisfatto del fatto che l’album suoni dannatamente W.A.S.P. al cento per cento (e nel pronunciare la parola “dannatamente” la sua voce ha un’impennata che mi fa tornare indietro nel tempo, ndr). Nel disco è presente molta melodia, ma non mancano tracce movimentate e super classiche, quindi credo che gli ingredienti che ci hanno resi celebri siano ancora tutti presenti. Sono ancora innamorato di certe sonorità e credo che qualsiasi tipo di musica possa essere un ottimo veicolo per un messaggio positivo. I testi delle mie canzoni hanno sempre avuto un’importanza cruciale per il mio percorso artistico e umano.”

Ho sempre avuto la sensazione che ti sia spesso pesato non essere riconosciuto come uno dei grandi autori della tua generazione. È così?

“Non ho mai avuto la presunzione di ritenermi uno dei migliori autori della mia generazione, ci mancherebbe. Tuttavia, mi è spesso dispiaciuto che molta della critica di settore mi abbia visto solamente come un personaggio di cui parlare per tutto tranne che per le proprie canzoni. Non ho iniziato oggi a curare i miei testi in modo maniacale, ho capito più di vent’anni fa l’importanza di essere compreso. Oppure, ancora peggio, magari presento un nuovo album di cui mi curo di far avere i testi in anticipo e il giornalista di turno mi chiede cose su Animal (Fuck Like A Beast) o cose successe trent’anni fa. Sono contento della mia vita, ma sarebbe bello che più spesso ci si soffermasse sulle mie parole. Volete conoscermi? Leggete i miei testi e la mia autobiografia e non delle monografie. Di cose interessanti ne troverete diverse.”

Miss You è una power-ballad bellissima, un genere di brano in cui da sempre i W.A.S.P. sono maestri e rappresenta uno degli apici del disco. Com’è nata?

“La storia di questo brano è molto singolare e la sua nascita risale ai tempi di The Crimson Idol, che fatalmente riappare costantemente in questa intervista. Premetto che non sono mai stato un autore in grado di scrivere decine e decine di brani per poi selezionare i migliori da mettere su disco, quindi di conseguenza non ho gli archivi stracolmi di canzoni non utilizzate in passato. Tuttavia, durante le session di quel disco successe proprio l’opposto: quell’argomento toccava corse così grandi e scoperte, da provocarmi momenti di dolore estremo, ma anche di prolificità mai raggiunti in precedenza. Miss You avrebbe dovuto trovare spazio in quell’album, ma per motivi che ancora oggi non riesco a spiegarmi non lo trovò e finì nel dimenticatoio per vent’anni. Un giorno, mentre pensavo a come recuperare le fila del discorso dopo l’infortunio, mi tornò alla mente e la trovai ancora attualissima.”

A volte sembra quasi che The Crimson Idol in qualche modo ti persegui. Credi che sia stata la svolta della tua carriera e il primo passo verso chi sei oggi?

“Quando sentivo Lou Reed cantare che il rock n roll gli aveva salvato la vita, non facevo fatica a capire cosa intendesse dire. E non perché fosse un concetto semplice, ma perché solo chi per lunga parte della sua vita non ha avuto che quella cosa a cui attaccarsi può capire di cosa stiamo parlando. Non ho mai creduto che la musica potesse cambiare il mondo, l’ho sempre vista come una cosa da hippie strafatti, ma sono sempre stato convinto che potesse aiutare la gente a stare meglio. E se la gente sta meglio, di conseguenza lo sta anche il mondo. Tutto questo per dire che la musica mi ha salvato più di una volta nella mia esistenza, ogni qualvolta mi sono trovato nelle condizioni psicofisiche peggiori di sempre. Quel disco resta un punto di non ritorno nella mia vita, il primo in cui iniziai ad essere preso sul serio come songwriter e il mio avvicinamento a Dio, in parte, è dovuto al fatto di essermi reso conto che senza fede avrei fatto la fine del protagonista di quella storia. Che poi non ero altro che io.”