Dischi Da Riscoprire: Roy Harper – Man And Myth

La tendenza a rottamare, in musica potrebbe giocare brutti scherzi: scartando come prodotti di vecchie cariatidi tutti gli album dei musicisti over settanta, si rischierebbe infatti di perdere piccole gemme come lo straordinario ritorno sulle scene di uno dei musicisti inglesi più sottovalutati di sempre. Pur avendo influenzato la musica di ognuno dei decenni in cui si è messo ad incidere album, Roy Harper non ha mai amato rimanere troppo a lungo sotto i riflettori, tanto che in genere i pochi che ne conoscono il nome, lo associano alle frequentazioni con celeberrimi gruppi come Led Zeppelin e Pink Floyd. Tuttavia, se negli anni sessanta Harper veniva paragonato a Bob Dylan, nel decennio successivo indicato come uno dei padri del progressive e oggi chiunque si cimenti con il new folk non faccia altro che continuare a sottolinearne l’immensità, un motivo ci dovrà pur essere. Se è delle ragioni di tutto ciò che siete in cerca o se siete semplicemente dei vecchi fan convinti che i suoi ultimi lavori non rendessero giustizia alla sua storia, Man And Myth è il disco che fa per voi. I motivi per considerare quest’album uno dei migliori del 2013 sono molteplici, anche se i principali vanno ricercati nella ritrovata capacità lirica di Harper, che pareva ormai svanita per sempre e nell’affiancamento di uno dei suoi maggiori discepoli nel ruolo di produttore, Jonathan Wilson. Probabilmente non è un caso che la ritrovata vena compositiva si sia materializzata dopo anni passati a rimasterizzare i propri capolavori: lo stesso artista ha confidato a più giornalisti di essersi ritrovato a scrivere nuovi brani proprio ispirato da album quali Stormcock, Lifemask e Valentine. Senza mai risultare retrò o indugiare nella nostalgia, l’album suona tremendamente classico e questo è forse l’aspetto in cui la mano di Wilson si sente maggiormente. Chi ancora oggi si chiede chi fosse quel chitarrista di cui Jimmy Page continuava a parlare agli inizi della carriera o perché Roger Waters avesse voluto la sua voce a cantare Have A Cigar, dovrebbe passare un mese in compagnia di Man And Myth per avere tutte le risposte: brani come The Enemy e Cloud Cuckoo Land sembrano provenire da un altro tempo, quello in cui ai passaggi folk il nostro aveva affiancato momenti più robusti e quasi hard; January Man è semplicemente uno dei brani più belli della sua carriera, così come le ballate a metà tra malinconia e rassegnazione di cui l’album è ricco. È però forse la suite Heaven Is Here a rappresentare il capolavoro assoluto dell’album: un quarto d’ora di musica in cui tutti i suoi amori, su tutti il folk e il progressive, trovano un’armonia tale da sembrare una vera e propria summa dell’intera carriera. Un album da consumare, da vivere e da regalare, proprio perché siamo ancora in tempo per rivalutare uno degli artisti più influenti della propria generazione. Sperando non debbano passare ancora tredici anni prima di poter sentire qualcosa di nuovo…