Premetto che sono tra quelli che apprezzarono non poco il ritorno di Iggy And The Stooges di qualche anno fa, come anche le sperimentazioni dell’Iguana in territori meno consoni ai suoi standard (vedi gli album ricchi di standard in lingua francese). Per quanto mi riguarda, è quindi fuori luogo parlare di rinascita artistica in riferimento all’attesissimo Post Pop Depression. Tuttavia, pur avendo sempre perdonato tutto al buon Iggy, riesco ad ammettere che persino lui una manciata di dischi di merda li abbia prodotti. Detto ciò, il frutto della collaborazione con Josh Homme non avrebbe potuto dare risultati migliori di questi: l’album si posiziona infatti direttamente nella top five del nostro, con la consapevolezza che difficilmente, secondo le sue parole, potremo averne tra le mani un degno successore in futuro. Sì, perché l’Iggy che parla con immenso trasporto delle sue nuove composizioni è altrettanto convinto che difficilmente in futuro tornerà in studio per produrre nuova musica e questa, a conti fatti, è l’unica notizia che può togliere il buonumore mentre si ascolta la sua nuova fatica. Al di là dei due brani già noti, Gardenia e Break Into Your Heart, che avevano già fatto intuire quanto bisogno avessero lui e Homme di mostrare al mondo i primi frutti della loro collaborazione, è nell’insieme che Post Pop Depression colpisce nel segno: pur apprezzando le recenti mutazioni di Iggy, infatti, oggi egli sembra consapevole più che mai di tutti i suoi punti di forza. Lasciando quasi per intero l’onere delle sonorità alla mente dei Queens Of The Stone Age, che è riuscito a marcare a fuoco ogni singola nota dell’album, l’ultimo rimasto del celeberrimo trio Iggy/Ziggy/Lou ha potuto incanalare tutta la propria poesia (sì, poesia), il suo malessere e la sua visione odierna della vita come solo in parte era riuscito a fare nel passato recente. Pensare che brani come American Valhalla, Paraguay o Sunday (provate a dare una definizione plausibile a quest’ultima) siano stati partoriti da un uomo di settantanni che a fine anni settanta si tagliava sul palco o andava a farsi stuprare vestito da donna nei peggiori porti d’America mette davvero i brividi. Difficile che sia così, ma In The Lobby pare un vero e proprio omaggio ai Gun Club di Jeffrey Lee Pierce, di cui quest’anno ricorrono i vent’anni dalla morte e di cui Iggy era un super fan. Ogni volta ce ne dimentichiamo, ma il mondo ha davvero bisogno di gente come Iggy Pop.
Iggy Pop – Post Pop Depression
19 Marzo 2016
Dischi
Giornalista musicale con esperienza decennale, Luca Garrò scrive o ha scritto per alcune delle riviste musicali più note del nostro paese, da Rolling Stone a Jam, passando per Rockstar, Rocksound, Onstage e Classic Rock, oltre ad essere uno dei fondatori del magazine online Outune.net. Appassionato di classic rock fin dall'infanzia, ha scritto centinaia di articoli sugli argomenti più disparati, tre libri per Hoepli (Freddie Mercury, David Bowie e Jimmy Page & Robert Plant) e sta curando una biografia su Brian May per Tsunami. Per cinque anni è stato tra i curatori del Dizionario del Pop Rock Zanichelli.
Related Posts
3 Aprile 2020
Gigaton: La Non Superficialità Dei Pearl Jam
26 Febbraio 2020