Afterhours – Folfiri O Folfox

In qualsiasi opera artistica, di solito, è il titolo che dovrebbe connotare l’essenza dell’opera stessa e, mai come in questo caso, gli Afterhours (con una formazione rinnovata che vede l’uscita di Ciccarelli e Prette per Pilia dei Massimo Volume e Rondanini dei Calibro35) sono riusciti appieno nell’intento. Le due parole che compongono il titolo, anche se a prima vista potrebbero sembrare due folli termini inventati, sono in realtà i nomi di due cure chemioterapiche. Non c’è dubbio che sia un titolo scomodo, che si fatica persino a pronunciare, ma è già da qui che parte la proposta del gruppo: il trattare un aspetto della vita che, pur non volendoci pensare, fa parte della nostra esistenza. Questa, in poche parole, la chiave di lettura su cui viene costruito un concept musicale che parla di malattia, morte e di tutte le inevitabili domande che questa porta con sé. Non lasciatevi quindi sviare dal rock/pop di “Non voglio ricordare il tuo nome”, brano valido che ricalca molti degli stilemi classici della scrittura di Agnelli, ma che in qualche modo appartiene a un songwriting passato, così come dal marziale brano di denuncia intitolato “Il mio popolo si fa”: è piuttosto sui primissimi versi urlati della straziante opener “Grande”, che parla di un patto tradito, e nella sua controparte “Oggi”, che si coglie l’immediata coscienza dei territori su cui si muoverà tutto il disco.  La schiettezza compositiva delle liriche e la sperimentazione musicale a volte estrema, vedi “San Miguel”, la strumentale “Cetuximab”e la stessa title track, con le sue parti vocali filtrate e maligne, riescono a descrivere perfettamente lo stato d’animo di chi le ha composte, senza bisogno di grandi spiegazioni. Questi episodi estremi si alternano ad altri più introspettivi, come “L’odore delle giacca di mio padre”, “Lasciati ingannare (ancora una volta)”, oppure ancora dal classico mid tempo “Nè pani Nè pesci” e dalla velocissima “Fra i non viventi vivremo noi”. Dopo diciotto tracce, è davvero difficile non sentire che anche a noi è “cambiato il sapore”, la percezione delle cose si ritrova arricchita di una storia in più e, inevitabilmente, non siamo più gli stessi di prima.

Risulta invece strano, e stride nella testa del sottoscritto, pensare che un disco di simile fattura possa in qualche modo essere concomitante con l’inizio per una carriera televisiva ad X Factor, format che sforna prodotti musicali di plastica, anni luce distanti da proposte come questa.