George: Quello che voi rappresentate per loro è la libertà.
Billy: Che c’è di male nella libertà? La libertà è tutto.
George: Ah si, è vero, la libertà è tutto, d’accordo, ma…Parlare di libertà ed essere liberi sono due cose diverse. Voglio dire che è difficile essere liberi quando ti comprano e ti vendono al mercato…E bada non dire mai a nessuno che non è libero, perché allora quello si darà un gran daffare a uccidere, a massacrare per dimostrarti che lo è. Ah certo, ti parlano e ti parlano e ti riparlano di questa famosa libertà individuale, ma quando vedono un individuo veramente libero, allora hanno paura.
Billy: La paura però non li fa scappare.
George: No, ma li rende pericolosi.
(Easy Rider)
Ecco, ogni volta che penso a Vasco Rossi, soprattutto ora in cui chiunque è pronto a celebrarne il mito in attesa di Modena Park, mi tornano alla mente le parole di uno dei più significativi discorsi sulla libertà mai portati sul grande schermo. Penso a Capitan America che sfreccia sulla sua custom con il serbatoio pieno di droga, alla voglia di rompere schemi imposti da genitori con la cui cultura nulla era più condivisibile e a quel “ti porterei anche in America” gridato in Colpa D’alfredo, il brano da cui prende il nome l’evento stesso. Sì perché, se è vero che oggi Vasco tra i media nazionali non raccolga altro che consensi, la celebrazione di questi quarant’anni fatti di record su record infranti non deve farci dimenticare quale personaggio di rottura sia stato il Blasco per il nostro Paese. E forse proprio per questo non è un caso che il concetto di libertà sia una dei più ricorrenti all’interno della sua poetica: perché Vasco, prima ancora di professarsi libero, lo era nei fatti. Proprio perché invece parlare di libertà ed essere liberi sono due cose molto diverse. Ricordare tutto ciò è d’importanza vitale, perché tutto quello che ci circonda ci insegna invece a seguire una linea ben precisa, fatta di azioni sempre uguali, di tentativi di uscire da un anonimato autoindotto attraverso mezzi come i social network che, per assurdo, vanno proprio ad amplificare il distacco tra noi e il mondo reale, rendendo il nostro pensiero banale e per la massa, invece che valorizzarlo. In quattro decadi, Vasco ci ha insegnato molte cose: per esempio, che Sanremo non era un luogo inviolabile, che si poteva andare da Mike Bongiorno in stato alterato della mente ed essere comunque molto più brillanti di lui e che nella vita si poteva (e in qualche modo si doveva) sbagliare, senza doversi autoflaggellare per sempre, ma semplicemente chiedendo scusa e ripartendo con più rabbia di prima. Ci ha insegnato che nella vita si muore e si rinasce altrettante volte.
Come andrà il concerto di Modena lo sappiamo tutti: chi non ha ancora capito che in Italia non esiste nulla di simile a Vasco, probabilmente, ha vissuto all’estero dal 1990 in poi. Oltretutto, se escludiamo forse solo Imola ’98, Vasco non ha mai amato le autocelebrazioni, proprio perché così lontane dalla sua natura schiva di antidivo quale, anche se può sembrare paradossale dirlo, è sempre stato. Il suo bisogno di trovarsi di fronte a masse oceaniche non è mai stato legato alla voglia di superare qualcuno, ma piuttosto ad un bisogno d’affetto che, come ammesso più volte, è venuto a mancargli ogni volta in cui ha rallentato i suoi ritmi di lavoro. La sua non è mai stata una ricerca sterile di record superati, ma un bisogno che ne denota ancora di più l’umanità, spesso ingiustamente nascosta dal personaggio dipinto dai media.
La vera domanda, piuttosto, è cosa farà Vasco dopo Modena Park. La risposta non è scontata, perché qui non si tratta della solita gara con se stesso (che dura ormai da più di metà della sua carriera), ma di qualcosa di ben più complesso. Record mondiale di vendite non è solo un insieme di parole che utilizzi come un mantra per preparare il tuo pubblico (e te stesso) all’evento, non sono le cinque date di fila a San Siro, non è Imola. È qualcosa che andrà a lavorare dentro di te, magari non subito, ma lo farà. Soprattutto in un animo sensibile come quello di Vasco. Continuare ad alzare la posta ti costringe inevitabilmente a delle pressioni elevatissime, ma soprattutto a continuare a fare la stessa cosa fino alla fine. È questa secondo me la vera scommessa di Modena Park, più di tutto quello di cui si parla da mesi. E chissà che tra i duecentoventi mila di Modena non ci sia anche quel Negro con la macchina che conta…