Ci sono artisti che hanno segnato un’epoca ed altri, come Rod Stewart, che sono stati in grado di segnarne almeno due. Poco importa se amiate di più la sua carriera anni settanta o i successi della decade successiva, quando lo show a cui assisti è di quelli cui l’Italia è forse poco abituata, ma che fin dal principio ha visto un pubblico completamente rapito dal carisma straripante dell’ex Faces. Nonostante con discreta regolarità dia alle stampe nuovo materiale, è ormai chiaro che il Rod Stewart che abbiamo di fronte da molti anni è un performer che ha fatto tesoro di cinquant’anni di attività e che risulta credibile tanto sui pezzi che lo fecero esplodere negli anni settanta, così come sulle super hit (quasi sempre cover, è giusto ricordarlo), ma che ormai ha deciso di dedicare gli ultimi anni della propria esistenza a celebrarsi. Un po’ come gli Stones, Paul McCartney o Elton John, guarda caso i pochi compagni musicisti insigniti del cavalierato da parte della Regina Elisabetta. Quando le luci del forum si spengono, alle ventuno precise, il colpo d’occhio è di quelli che lasciano il segno, così come il tiro della band che lo accompagna, che si lancia in una Soul Finger cantata e ballata da Stewart quasi ad omaggiare James Brown. È in forma Rod e i suoi abiti di scena, ormai quelli del classico residente di Las Vegas, ne mettono in luce un fisico un po’ provato, ma che cerca di non rassegnarsi al passare del tempo e che alla fine, pensando a come sono invecchiati molti dei suoi colleghi, non sfigura affatto. Si diceva di Las Vegas: la Sin City e i suoi spettacoli iperbolici restano chiaramente il punto di riferimento della produzione, tanto che, rapiti da luci, cori e balletti, per un attimo si arriva a pensare di non trovarsi appena a sud di Milano, ma di essere stati catapultati direttamente nel Nevada, in uno show a metà tra Ringo Starr e l’ultimo Elvis. La capacità di passare da momenti toccanti e malinconici, ad altri di puro intrattenimento è da sempre uno dei marchi di fabbrica di Rod, anche se talvolta si ha spesso la sensazione che alcune parti dello show acquisirebbero maggior intensità se i suoi abiti fossero un po’ meno tamarri. Facezie legate ad un cultura che ci è forse un po’ aliena, si dirà, tanto più che col passare del tempo si finisce per convincersi che solo Rod Stewart possa permettersi di vestirsi in quel modo senza perdere un briciolo di credibilità. Così come è divertente osservare i suoi comportamenti con l’altro sesso, che anche in questo caso passano da gesti da cavaliere (appunto), a cafonate degne der peggior Piotta. Ed è tutto perfetto così. La voce, ancora graffiante e quasi più affascinante oggi segnata dallo scorrere del tempo che venticinque anni fa, resta la protagonista assoluta di uno show che non lesina luci, musicisti e, come da copione, coriste sotto i trent’anni, uno dei pochi vizi rimasti ancora al vecchio leone, ma che resta fortemente legato alla musica e non si limita a gettare fumo negli occhi. Difficile trovare punti deboli in una setlist talmente ben calibrata da rasentare la perfezione, per altro molto apprezzata dal pubblico anche nei momenti di stanca (davvero troppi gli assoli per permettere a Rod di recuperare) o in quelli che hanno visto protagonisti brani meno noti del repertorio, ma la convinzione che si tratti di uno spettacolo completamente privo di possibili colpi di scena resta per tutto il corso dello show. Brani come The First Cut Is The Deepest, Rhythm Of My Heart, I Don’t Want To Talk About It o Sailing sono stati capaci di sciogliere anche gli accompagnatori più distratti, mentre il finale col botto, lasciato alle classiche Baby Jane e Da Ya Think I’m Sexy?, ha scatenato il ballo sfrenato della parte femminile del Forum, quella a cui Rod rimarrà sempre più legato. L’unica delusione giunge postuma: sempre per il fatto di riuscire a vedere la Domenica Sportiva nel Regno Unito, la fuga di Rod costringe al taglio di almeno cinque brani rispetto alle date precedenti. Peccato, perché a farne le spese sono stati pezzi da novanta come Maggie May e Reason To Believe…
Rod Stewart Incanta Il Forum Di Assago
1 Febbraio 2018
Concerti
Giornalista musicale con esperienza decennale, Luca Garrò scrive o ha scritto per alcune delle riviste musicali più note del nostro paese, da Rolling Stone a Jam, passando per Rockstar, Rocksound, Onstage e Classic Rock, oltre ad essere uno dei fondatori del magazine online Outune.net. Appassionato di classic rock fin dall'infanzia, ha scritto centinaia di articoli sugli argomenti più disparati, tre libri per Hoepli (Freddie Mercury, David Bowie e Jimmy Page & Robert Plant) e sta curando una biografia su Brian May per Tsunami. Per cinque anni è stato tra i curatori del Dizionario del Pop Rock Zanichelli.
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