Brian May Roger Taylor Queen

Brian May e Roger Taylor: Perché Freddie Mercury Resta Il Più Grande

Mai ufficialmente scioltisi dopo la scomparsa di Freddie Mercury, i Queen sono diventati una delle poche band nella storia della musica a sopravvivere per più della metà della propria carriera senza colui il quale veniva considerato all’unanimità il leader carismatico del gruppo. Sebbene sia noto a fan e neofiti che la forza dei Queen stesse nell’unione delle personalità di ognuno dei membri (basti pensare ai limiti evidenti dei progetti solisti dei quattro), è altrettanto lapalissiano ed inevitabile che la maggior parte delle attenzioni venissero catalizzate dall’istrionico cantante, che per molti dei suoi colleghi fu senza ombra di dubbio il più grande showman che la musica popolare abbia mai visto nascere. “Credo che quell’aspetto abbia oscurato in parte il fatto che Freddie fosse in primis un autore di canzoni come non se n’erano mai visti prima della sua comparsa” – sottolinea Roger Taylor – “Tutto l’aspetto dell’animale da palcoscenico ha finito per mettere un po’ in ombra il suo incredibile talento musicale e la genialità delle sue intuizioni. Probabilmente, quella è una cosa che sarebbe potuta venire fuori nel tempo, quando la sua fisicità sarebbe stata meno prorompente”.

D’altra parte, erano troppi gli aspetti del personaggio Freddie Mercury in grado di attirare la curiosità della gente e, in particolare, dei media, più attenti agli scandali e alle provocazioni che non alle immense qualità artistiche dei Queen: “Abbiamo sempre giocato con elementi che avrebbero potuto creare imbarazzo e qualche polemica a livello di stampa specializzata, ma non più di quanto non facessero altri artisti dell’epoca” – aggiunge Brian May – “Non dobbiamo dimenticare che il momento in cui ci affacciammo sul mercato discografico fu uno dei meno ottusi e retrogradi che la storia avesse mai conosciuto: gente come David Bowie aveva aperto strade che sembravano inimmaginabili pochi anni prima e, come lui, in quanto a provocazioni in molti erano si erano già spinti ben oltre quello che aveva fatto Freddie. Tuttavia, ci fu un momento preciso in cui tanto noi quanto i giornalisti decidemmo che avremmo potuto fare a meno di essere compiacenti gli uni con gli altri”.

In effetti, seppur provocatorio e sopra le righe, Freddie non giunse nel mondo del rock come un fulmine a ciel sereno, ma dovette scalare montagne spesso più alte di altri artisti dell’epoca: “La sua voce andava a formarsi del tutto in quel periodo e la nostra proposta iniziale, seppur già originale, conteneva inevitabilmente degli elementi riconducibili a band che ammiravamo” – continua il chitarrista – “ma in molti si ostinavano a vedere nella nostra proposta qualcosa di esclusivamente derivativo e non innovativo. Salirono davvero sul carro solo ai tempi di A Night At The Opera, ma già per il disco successivo eravamo da capo: prima copiavamo altri, dopo ci dissero che non avevamo più idee e riciclavamo noi stessi”. L’entusiasmo e la convinzione di Freddie fu fondamentale per superare l’impasse di quei primi anni e la sua visione musicale, sulla carta spesso completamente folle e al limite dell’irrealizzabilità, fu la chiave di volta della carriera del gruppo: “La svolta avvenne ai tempi del terzo disco, che nacque sotto gli auspici peggiori” – interviene Taylor – “John era sempre più sfiduciato su tutta la questione, mentre Brian era fuori per una brutta malattia. Quando ritornò, molti dei pezzi del disco erano pronti, compresa quella Killer Queen scritta da Freddie che poi ci fece fare il vero salto di popolarità”. “Per me fu un momento molto delicato” – aggiunge May – “I miei genitori continuavano a pensare avessi fatto un grosso errore a mollare l’università e la malattia mi aveva fatto cadere in un momento di depressione notevole. In quel momento Freddie fu il collante di tutto, credo che la band avrebbe potuto sfaldarsi in quel preciso istante, mentre, come spesso accade, utilizzammo una situazione critica per dire: o adesso o mai più”.

Nonostante le circostanze avessero portato a una maggiore influenza di Mercury sui brani di Sheer Heart Attack, il futuro avrebbe visto il gruppo spartirsi i crediti in modo sostanzialmente democratico, cosa che sarebbe diventata uno dei punti di forza assoluti della Regina. Nonostante Mercury e May fossero i poli intorno a cui gli altri due compagni si muovevano, sia Taylor che Deacon mostrarono capacità autorali notevoli. “Siamo tra gli unici gruppi nella storia in cui ognuno di noi ha composto un brano capace di arrivare in testa alle classifiche. Eravamo così diversi l’uno dall’altro e potevamo attingere da così tante influenze che le sfumature della nostra musica, per molto tempo, rimasero qualcosa di difficile da comprendere. Forse nemmeno noi le capivamo pienamente all’inizio. John fu quasi costretto a cimentarsi con la scrittura proprio perché l’assenza di Brian ci aveva costretti a un lavoro pesantissimo, ma prima o poi sarebbe venuto fuori comunque”.

Il successo aumentò in maniera esponenziale e, con esso, anche le problematiche tra i componenti della band: “Siamo sempre state persone molto diverse l’una dall’altra, cosa che ha caratterizzato nel bene e nel male la nostra storia. Tutti sanno delle grandi discussioni che avvenivano in studio, ma gli ego di ognuno erano allo stesso tempo uno sprone per tutti gli altri”.

Dopo le grosse difficoltà interne alla band dei primi anni ottanta, tuttavia, l’armonia riprese il sopravvento, aiutata da uno dei grandi punti di svolta della loro carriera: il Live Aid. “Sono convinto che ci saremmo ritrovati comunque in futuro, anche se quel momento rappresentò un’accelerazione pazzesca” – convengono i due – “Quello fu l’inizio di una fase di grande serenità interna: nonostante in studio ognuno avesse ancora molto da dire in ogni fase, forse l’età aveva portato qualcosa di diverso. Peccato sia stato anche l’ultima fase della nostra vita insieme”.

La scomparsa dell’amico, seppur attesa, fu devastante. Anni più tardi, in un impeto di onestà, nel corso di un intervista Brian May dichiarerà addirittura di aver pensato al suicidio nei mesi successivi alla morte di Mercury, che si era aggiunta a quella dell’amato padre avvenuta pochi anni prima. “Sì, purtroppo il mio temperamento mi porta spesso a confrontarmi con stati d’animo molto ingombranti, che tendono ad avere la meglio sulla mia volontà. Quello fu uno dei momenti più delicati di tutta la mia vita, con quei lutti spaventosi che non riuscivo ad elaborare e con un’oscurità che sembrava dovesse inghiottirmi da un momento all’altro”. I due cercarono conforto nell’unica cosa che glie era sempre riuscita meglio: fare musica, anche se separati. Si rimisero subito al lavoro, in primis Brian, che da tempo cercava di portare a termine il suo primo vero lavoro solista, Back To The Light. L’album conteneva anche la prima versione ufficiale in studio di Too Much Love Will Kill You, il brano presentato in anteprima mondiale in versione piano e voce al Freddie Mercury Tribute Concert: “Quello fu un momento drammatico. Per un attimo mi resi davvero conto di tutto quello che era successo e la gola mi si strinse. La suonai anche alla prima edizione del Pavarotti & Friends e in seguito la pubblicammo su Made In Heaven, perché con Freddie ne avevamo registrato un demo ai tempi di The Miracle. Il suo testo venne inteso in modo sinistro o macabro da qualcuno, come se ci fosse un riferimento esplicito alla malattia di Freddie, ma non era così. Riguardava me e il periodo che stavo vivendo alla fine degli anni ottanta, ma in quel momento pensai potesse essere il modo migliore per rendergli omaggio”.

Dopo anni di speculazioni circa un loro ritorno con fantomatiche rockstar del calibro di George Michael prima ed Elton John poi, la voglia di tornare a lavorare insieme portò i tre superstiti a lavorare ad un ultimo album a nome Queen: “Fu davvero strano” – esordisce Roger – “Il clima era surreale e inizialmente lavorammo ai pezzi solo io e John. Poi Brian arrivò in studio e diede un’impronta molta forte a quel disco, segno che ognuno di noi voleva dare il massimo in quello che sarebbe stato il nostro epitaffio”.

Invece, di epitaffio non si trattò, visto che, dopo aver elaborato del tutto il loro lutto attraverso il primo brano esplicitamente dedicato a Mercury, i tre tornarono a pensare da band e ad imbarcarsi in progetti in grado di far capire loro quanto interesse potesse esserci da parte dei fan. Proprio durante la lavorazione ad uno di questi, la versione di We Are The Champions in compagnia di Robbie Williams per il film Il Destino Di Un Cavaliere, pare che i rapporti tra loro e John Deacon si ruppe in maniera definitiva. Nessuno sa con certezza quello che successe davvero, ma è noto che i tre entrarono in studio per poi uscirvi come duo. Da quel momento in avanti, Brian e Roger si nascosero dietro a frasi di circostanza (“ha voluto mettersi da parte ma è d’accordo con noi su tutto”), mentre il bassista farà perdere completamente le proprie tracce, dando vita di fatto ad uno dei misteri più difficili da capire della storia del rock britannico.

Dopo anni di sostanziale inattività, con l’inizio del nuovo millennio, la macchina live dei Queen ripartì in pompa magna, inizialmente coi soli Brian e Roger a tenere alto lo stemma reale. Memorabili restano le esibizioni al Giubileo della Regina, i concerti per Mandela e il bagno di folla a Modena per l’ultima edizione del Pavarotti & Friends. “Forse quelle tre occasioni furono quelle che ci diedero la conferma che la gente aveva ancora voglia di cantare con noi i brani dei Queen, nonostante suonare quella musica senza Freddie fosse qualcosa di straziante” – sottolinea ancora May. Il passo successivo fu la collaborazione con la leggenda Paul Rodgers, terminata dopo due tour mondiali di successo e un album di inediti, The Cosmos Rocks, purtroppo sottovalutato e pubblicizzato ancora meno: “La EMI ha sostanzialmente boicottato quel disco” – sbotta Roger – “E ancora oggi credo sia davvero un album da rivalutare del tutto. La storia con Paul non finì per quello, ci furono alcune incomprensioni e poi lui era un cantante blues, credo sia stato giusto che le nostre strade si siano separate”. Il mondo parlò di sostituzione di Freddie, cosa che fece infuriare la band, le cui intenzioni erano quelle di proseguire con diversi cantanti che divenissero semplici tramiti tra la storia del gruppo e il presente. “Nessuno tra noi avrebbe potuto sostenere un tour mondiale cantando ogni sera tutte le canzoni” – ammette candidamente il chitarrista – “L’idea era quella di fare un po’ come ai tempi del tributo a Freddie: farci aiutare da amici a proseguire la nostra storia”.

L’ultima collaborazione in ordine di tempo è invece quella Adam Lambert, giovane cantante statunitense classificatosi secondo nell’ottava edizione del talent show American Idol. L’incontro con i due futuri compagni di band avvenne proprio durante il celebre format americano, durante un’esibizione congiunta. Come ogni volta in cui la band ha deciso di proseguire il proprio cammino con un nuovo frontman, inevitabilmente, le critiche non hanno tardato a giungere. “Ogni volta è come la prima, tutte le volte in cui annunciamo di voler collaborare con qualcuno, veniamo sommersi da pareri completamente discordanti: da una parte chi ci dice che stiamo tradendo l’anima di Fred e chi, invece, ci ringrazia per la possibilità di poter cantare nuovamente certe canzoni dal vivo. Credo che la cosa non terminerà mai e, sostanzialmente, me ne sono rassegnato”. Affiora un po’ di amarezza dalle parole di May, che in fin dei conti, al momento della momento della morte del compagno era nel pieno della propria maturità fisica, oltre che artistica. “Cosa avremmo dovuto fare?” – interviene Taylor – “Eravamo tutti giovani e la scomparsa di Freddie ci costrinse a fare cose che in una situazione di normalità non sarebbe certo stata la stessa. Sapevamo da tempo della sua malattia e lui stesso continuava a dirci che non avremmo dovuto smettere di suonare. Da fuori le cose vengono sempre vissute in modo idealistico, completamente fuori contesto”.

Accettato con meno entusiasmo dal pubblico, che avrebbe preferito un’altra star di livello mondiale come Rodgers, col tempo Lambert ha saputo guadagnare la stima di molti dei quali lo avevano tacciato di scimmiottare Mercury. Nonostante alcune delle sue dichiarazioni circa l’altezza delle note toccate da Adam Lambert, capaci di far infuriare lo zoccolo duro dei fan della band, Brian May ci tiene a sottolineare come le sue intenzioni non fossero assolutamente quelle di paragonarlo a Freddie, ma semplicemente di far capire alla gente che la sua scelta non fosse stata un errore: “Ancora oggi, ogni dichiarazione che facciamo viene sezionata e analizzata nei minimi particolari e a volte mi sento un po’ stupido nel cascare ancora in certi tranelli. Non sono pazzo, era chiaro che non volessi dire che Adam sia meglio di Freddie o paragonarli in qualsiasi modo. Volevo solo dire che la sua vocalità si sposa meglio di altre ai nostri brani e credo che questo l’abbia scritto chiunque sia venuto a vedere uno dei nostri concerti insieme a lui. Anche nel mondo del metal esistono cantanti in grado di raggiungere note impossibili, anche più alte di Freddie, ma se la grandezza di un artista si misurasse così, beh, probabilmente dovremmo riscrivere la storia della musica. Freddie era unico, perché univa ad un timbro riconoscibile al primo istante una capacità di utilizzo della voce fuori dal comune. Oltre ad essere un genio assoluto della musica. Se pensi anche al suo modo di suonare il piano, così fuori dagli schemi e personale come pochi: lì la voce non interviene, ma quando lo senti suonare capisci subito che è lui. Quello è un aspetto su cui si è fatta poca luce negli anni. Si tende sempre a banalizzare personaggi dalle migliaia di anime come lui, per focalizzarsi solo su quelle che fanno vendere qualche copia in più ad un giornale scandalistico”. “Nessuno di noi può sapere con certezza cosa penserebbe Freddie di tutto questo” – conclude Roger Taylor – “Né tanto meno nessuno può sapere se oggi i Queen sarebbero ancora insieme. Sono discorsi che lasciano il tempo che trovano. L’unica cosa che so è che il destino ci ha costretto a fare scelte che non avremmo voluto prendere. Ancora oggi, comunque, i Queen restano Freddie Mercury, John Deacon, Brian May e Roger Taylor: se volete una certezza, eccola”.