Doors: Parla Robby Krieger

I quarant’anni dalla morte di Jim Morrison rappresentano l’occasione per i suoi vecchi compagni Robbie Krieger e Ray Manzarek di omaggiare Jimbo e la sua arte. Questo ci ha permesso di poter passare un’ora in compagnia dello storico chitarrista dei Doors, autore di alcune delle loro più grandi hit, come Light My Fire, Touch Me e Love Me Two Times.

Ciao Robby. Innanzitutto, parlaci di come saranno i concerti che vedremo il prossimo mese in Italia. La formazione è ormai la classica con Phil Chen al basso e Ty Dennis alla batteria, alla voce sarete però accompagnati da Dave Brock. Non sarà un compito facile…

No, non lo sarà, ma Dave è un cantante semplicemente eccezionale. Forse in Italia non lo conoscete, è il cantante dei Wild Child, credo la più grande tribute band dei Doors che io abbia mai visto nella mia vita. Sono di Los Angeles e anche i nostri fan li adorano.

Di certo il tuo è un parere molto autorevole. Fra poche settimane sarete in Italia, conosci i luoghi in cui suonerete? Sei stato spesso nel nostro paese?

Ho passato moltissimo tempo nel vostro paese, molto più che in altri dell’Europa. Amo tantissimo l’Italia, avevo persino una band con cui vi ho passato diverso tempo. Devo dirti che sono almeno cinque anni che non torno, ma non credo sia cambiata molto (ride). Di sicuro la ricordo come la nazione con più pazzi al mondo. Non solo ai concerti, proprio in generale! Siete totalmente pazzi (ride).

So che tu e Ray avete parlato molto bene del film “When You’re Strange” di Tom DiCillo. Cosa che invece non successe per il film di Oliver Stone…

Sì e ti spiego anche perché continuiamo a farlo. Il documentario di Tom finalmente rende giustizia alla figura di Jim, quello che solo noi e chi gli è stato accanto in quel periodo conosceva. Ne è uscito un ritratto sincero, molto fedele alla realtà sia nel bene che nel male. Ti dirò anche che probabilmente su Oliver Stone fummo fraintesi: il film è molto bello, è una delle pellicole rock migliori che siano state girate, ma non riporta fatti realmente accaduti e anche quelli avvenuti sono completamente trasfigurati. C’è una bela differenza tra dire questo e dire che un film fa schifo!

Sono passati quarant’anni dalla morte di Jim. Se ora ti guardi dietro, senza più il peso delle pressioni e di tutto ciò che stavate vivendo, cosa è significato condividere con lui l’epopea dei Doors?

Be’ penso che suonare in un gruppo il cui cantante fosse Jim Morrison non abbia bisogno di troppe spiegazioni. Sai, ai tempi eravamo dei ragazzi, ognuno col proprio carattere e con le proprie aspirazioni. Col proprio ego, mettiamola così. Il fatto di vivere da dentro ogni singola cosa non poteva permettermi di vedere le cose per quello che erano realmente. Il punto che Jim era il fulcro di tutto, ogni cosa girava intorno a lui e tutto funzionava de lui decideva che avrebbe funzionato. Penso che condividere tutto ciò con lui sia stata la più grande fortuna della mia vita.

So che in principio tu e Jim, ma in realtà tutta la band, eravate davvero molto uniti. Poi dopo il secondo disco le cose iniziarono lentamente a cambiare…

Sì è vero, dal terzo album in poi iniziarono i primi problemi perché l’alcol iniziò ad avere la meglio sul carattere di Jim, sulla sua capacità di concentrazione, ma anche sulle sue esibizioni dal vivo. Devi capire che ci trovavamo a dover convivere con una persona in grado di bere come pochi e che mal tollerava la rigidità e le imposizioni. Era una persona di un’intelligenza e di una sensibilità superiori, ma l’alcol lo rendeva un altro uomo.

Non ti manca quando sali sul palco e suoni un suo brano?

Non mi manca quando salgo su un palco, mi manca ogni giorno della mia vita. Terribilmente.

E’ vero come ha recentemente dichiarato il vostro manager di allora, che quando Jim partì per parigi, i Doors sostanzialmente non esistevano già più?

Se intendi dire che ormai fossimo sciolti, ti dico che si tratta di una grandissima bugia. La verità è che avevamo appena registrato L.A. Woman ed eravamo molto soddisfatti del risultato finale. Come ti ho detto, spesso Jim era ingestibile e durante le session era in grado di bere anche trenta birre nell’arco della stessa giornata. Quindi non starò neanche a dirti che a livello di tensione fossimo nel nostro momento migliore. Ma non eravamo di certo un ex gruppo. A quel punto lui decise che fosse giunto il momento di prendersi una pausa, di recuperare se stesso e, soprattutto, di scrivere poesie, che poi era la sua più grande aspirazione a livello artistico.

E perché allora non andaste al suo funerale? Secondo lui sempre per lo stesso motivo…

Ma pensi davvero che se anche ci fossimo sciolti, non saremmo andati al funerale di Jim? Non scherziamo. Ci sono cose che vanno oltre tutto, figuriamoci se possiamo mettere sullo stesso piano la morte di un amico con cose tanto futili. Tutte leggende che continuano ad alimentare il mito.

E quindi perché non andaste?

Perché non fummo in grado di farlo, non ci fu il tempo! Nessuno di noi inizialmente credette alla cosa, per quello il nostro manager partì immediatamente per Parigi. E per lo stesso motivo fu l’unico ad assistere alla cerimonia, se escludiamo Pamela.

Registraste altri due album senza di lui: “Other Voices” e “Full Circle”. Ti sei chiesto perché non ebbero successo? Credo siano comunque due album dignitosissimi.

Grazie, lo credo anch’io, oggi come quando li registrammo. E’ chiaro comunque perché non vendettero niente: perché senza Jim Morrison non aveva più senso. Jim Morrison era tutto. Certo musicalmente non aveva contribuito in maniera così evidente, ma non potevamo fare a meno di lui. E il pubblico lo capì molto prima di noi.

E’ vero che ad un certo punto foste tentati di chiamare Paul Rodgers a sostituire Morrison, quando questo era ancora in vita?

Sì, ci trovavamo in difficoltà perché Jim era sparito, non riuscivamo più ad avere contatti con lui e pensammo all’eventualità di trovare un nuovo cantante. Ci venne in mente Paul Rodgers, ci sembrava adatto con quella voce molto blues. Non riuscimmo a contattarlo e quando Jim tornò ci dimenticammo di tutto. Non ti nascondo che ci pensammo anche dopo la sua morte, ma poi non se ne fece più nulla.

Perché non avete suonato a Woodstock?

Perché non ci interessava.

Ho letto che registraste “Strange Days” folgorati dall’ascolto in anteprima di “Sg. Pepper” dei Beatles. Certo che i vostri testi erano un po’ differenti…

(Risata) Be’ come molti di noi all’epoca subimmo il fascino dei Beatles, soprattutto di quelli più sperimentali. A livello musicale lo trovammo entusiasmante. Certo che la nostra visione della società era un po’ più pessimistica, se vogliamo dire così. Forse i nostri testi erano un po’ meno rassicuranti, mettiamola così.

Quanto furono importanti le tue influenze folk e flamenco per il sound dei Doors?

Non credo che furono più importanti di quelle classiche di Ray, di quelle Jazz di John o della stessa pasione di Jim per il blues e i grandi crooner come Elvis o Frank Sinatra. Fu proprio quell’eclettismo a rendere il nostro sound così particolare e diverso da ogni altro gruppo rock dell’epoca.

Cosa pensi di tutti i miti intorno alla morte di Jim? Sam Bernett (manager del Rock N Roll Circus di Parigi e oggi giornalista) continua a sostenere che sia morto nel suo locale e successivamente trasportato nel bagno di casa.

La gente dice tante, troppe cose. Io so solo che se ascoltassi tutti quelli che hanno visto morire Jim, ci sarebbero almeno quindici cause di decesso differenti. La realtà è che, in qualsiasi modo sia successo, purtroppo è successo. Cosa importa sapere come? Si è perso di vista il fatto che una persona molto giovane e di enorme talento, sia morta. Un nostro amico. Tutto il resto sono speculazioni. E se non fosse morto, ma davvero pensi che non si sarebbe mai più fatto sentire in quarant’anni? Dai siamo seri…