Marc Bolan: La Cavalcata Del Cavaliere Elettrico


La carriera di Marc Bolan e dei suoi T. Rex, seppur nata e sfiorita nell’arco di dieci anni, è di certo una delle più difficili da catalogare dell’intera storia della musica. Quando, nel marzo del 1973 uscì “20th Century Boy”, nessuno immaginava che quel brano sarebbe stato in qualche modo la chiusura del cerchio della ricerca musicale di Bolan e, allo stesso tempo, la sua ultima super hit. Solo due anni prima, “Electric Warrior” l’aveva portato al numero uno della classifica inglese, rendendolo l’idolo delle teenager di tutto il continente. Chi avrebbe potuto lontanamente pensare che, all’apice del successo, la sua stella fosse invece in procinto di spegnersi sotto l’effetto delle droghe, dell’alienazione da successo e da un’isteria che aveva raggiunto dimensioni simili a quella della Beatlemania? “Abbiamo ottenuto in un anno quello che i Beatles hanno ottenuto in quattro” era solito dire Marc nelle interviste dell’anno precedente e, ad onor del vero, egli non aveva mai dubitato delle sue doti: fin dalla metà degli anni sessanta, Bolan era solito presentarsi agli impresari come la nuova stella del firmamento musicale, talvolta come il nuovo Elvis, tanto era convinto delle proprie capacità compositive. A conferma di questo aspetto della sua personalità, Simon Napier-Bell, primo manager del musicista e autore del libro “Marc Bolan: Born to Boogie”, racconta che nel 1966 il giovane musicista lo chiamò dicendogli che stava parlando con la futura star più lucente della storia del rock, che necessitava solo di un manager per poter portare a termine il proprio scopo. “Non era immodesto o uno dei tanti mitomani che mi capitavano sotto tiro” – ricorda Napier-Bell – era solo convintissimo delle proprie capacità, pur sapendo di non essere un asso della sei corde”.

Marc Bolan

In effetti, ai tempi, la chitarra per Bolan era  poco più di un semplice accompagnamento nella costruzione dei pezzi e la sua tecnica rudimentale non poteva certo essere paragonata a quella di musicisti come Jimi Hendrix o Eric Clapton, che proprio in quel periodo costruivano il proprio mito. Cosa successe allora tra la seconda metà degli anni sessanta e l’inizio della nostra storia? Andiamo per gradi. Dopo una serie di demo e registrazioni improbabili per la Decca (cui però si deve il cambio di cognome da Feld in quello con cui troverà la gloria), Bolan fondò insieme a Steve Peregrin Took  i Tyrannosaurus Rex,  gruppo folk con testi che traevano spunto per lo più da racconti fantasy come “Il Signore Degli Anelli” o “Le Cronache Di Narnia”. L’amicizia con un giovanissimo David Bowie e, soprattutto, quella con Syd Barrett si rivelarono fondamentali tanto per la sua crescita che per quella degli altri due musicisti: come tutte le menti più fervide della sua generazione, Marc era in grado di assimilare molto in fetta ciò che ascoltava e, allo stesso tempo, la compagnia di artisti di una certa caratura riusciva a tirare fuori il meglio dalla sua arte, tanto che in quel periodo il suo personaggio poteva davvero sembrare una via di mezzo tra il Diamante Pazzo e il futuro Duca Bianco. L’incontro che però fece la differenza fu quello con Tony Visconti, ai tempi esordiente produttore londinese: “Il mio capo mi disse di trovarmi un gruppo da produrre totalmente da solo e la sera stessa decisi di recarmi all’UFO per vedere cosa andasse in scena. Mi ritrovai in un clima surreale: un centinaio di ragazzi seduti che ascoltavano quasi ipnotizzati questi due ragazzi. Venni completamente rapito”. Visconti non fu l’unico addetto ai lavori a cogliere immediatamente il potenziale del gruppo: il celebre DJ John Peel diventò in breve il fan numero uno di Bolan e Took, tanto da portare la band alla BBC e partecipare attivamente alla produzione del disco di debutto. “My People Were Fair And Had Sky In Their Hair… But Now They’re Content To Wear Stars On Their Brows” raggiunse la quindicesima posizione nelle charts britanniche e la formula venne riutilizzata per i lavori successivi, ma senza raggiungere le vendite agognate da Bolan. Il rispetto del proprio pubblico voleva dire molto per Marc, ma la sua convinzione di poter arrivare nell’olimpo della musica, la sua ossessione nel voler essere ricordato come uno dei più grandi compositori di sempre, cozzavano con l’incapacità di trovare una hit in grado di fargli fare il salto di qualità. Quando, per le registrazioni di “A Beard of Stars”, Took venne sostituito con Mickey Finn, le cose iniziarono a cambiare e il suono dei Tyrannosaurus Rex, fino ad allora alieno a qualsiasi forma di elettricità, inizio a mutare pelle: pur rimanendo a tutti gli effetti un disco di folk acustico, per la prima volta un brano della band, “Elemental Child”, vedeva la presenza di un assolo (vagamente hendrixiano) di chitarra elettrica. La leggenda vuole che Bolan si fosse trasferito per qualche giorno a casa dell’amico Eric Clapton, con l’intento di assorbirne un po’ del talento; dopo soli due giorni di lezioni, imparato quello che serviva al proprio scopo, salutò l’incredulo musicista e sparì insieme alla sua Les Paul. Clapton non lo sapeva, ma aveva appena contribuito in maniera fondamentale alla creazione del Glam Rock.

Abbreviato il nome nel più semplice T. Rex, aggiunti due componenti e dopo notti passate a provare gli stessi giri di chitarra, ecco la svolta: Visconti capisce immediatamente che il pezzo che Bolan ripete meccanicamente  da ore è il singolo che avevano sempre cercato. Con “Ride A White Swan” i T. Rex avevano trovato la formula perfetta, una via di mezzo tra la bubblegum music e il cosmic rock, che ne decreterà il successo mondiale grazie al disco successivo, “Electric Warrior”. Il singolo non verrà inserito nell’album, ma l’incredibile riscontro ottenuto dal brano confermò a Marc tutte le convinzioni riguardo alle sue capacità di songwriting e ne triplicò le motivazioni. A dimostrazione dell’aura di magia che avvolgeva la Londra di quel periodo, quando la band decise di recarsi ai Trident Studios  per provare i primi demo, vi trovò David Bowie intento a registrare “Hunky Dory”: il fatto che Bowie e i T. Rex avessero da un anno lo stesso produttore, permise a Bolan di suonare la chitarra sulla prima versione di “The Prettiest Star”, che sarebbe uscita come 45 giri e successivamente inserita in “Aladdin Sane”. I nuovi brani scritti dal musicista rompevano definitivamente ogni legame con il proprio passato folk e il suo vecchio pubblico non prese bene la scelta. Se già gli ultimi due album avevano fatto capire verso quale direzione si stesse spostando la musica del gruppo, “Electric Warrior”, a partire dal titolo e dalla copertina che ritraeva Bolan di fronte ad un muro di amplificatori, si dimostrò molto più di una dichiarazione d’intenti e provocò un piccolo scisma. Senza comprendere che quei brani fossero il frutto di un percorso iniziato cinque anni prima, proprio come successe a Dylan con “Like A Rolling Stone”, il cambio repentino di sonorità espose la band a moltissime critiche, tanto da parte del pubblico della prima ora, che si sentiva tradito, quanto dalla stampa più bacchettona, che parlò di azione studiata a tavolino per raggiungere qualche teenager. In realtà Bolan era riuscito a tirare fuori quello che da anni provava a fare, confezionando un album che univa perfettamente tutte le sue anime. Tutti gli incontri, le collaborazioni, le ore passate in compagnia di menti fulgide come la sua erano servite a Bolan per arrivare ai brani dell’album: impossibile non sentire echi di Syd Barrett o il suono di “Space Oddity” tra i solchi di brani come “Cosmic Dancer” o “Mambo Sun”, così come era difficile non pensare a Roy Thomas Becker (che aveva collaborato al disco precedente) per l’uso sapiente dei cori che farà la sua fortuna e quella di un intero genere.  Inoltre, in esso convivevano tanto i testi surreali di un tempo, quanto un utilizzo della Les Paul che prima non si era mai sentito. Più che a quello del “maestro” Clapton, lo stile chitarristico di Bolan finì per avvicinarsi più a quello di Henrix, soprattutto per la sporcizia del suono e per la capacità di definire un genere, che per l’aspetto prettamente tecnico lontano anni luce da quello di Jimi. Le critiche ideologiche poterono davvero poco contro la forza d’urto dell’album, che finì direttamente al primo posto delle classifiche, cosa che Bowie non era ancora riuscito a fare. In brevissimo tempo, pezzi come “Jeepster”, “Get It On” e il singolo “Hot Love” trasformarono i T. Rex da gruppo di culto nella più grande attrazione del Regno Unito, scatenando quella che i giornali definirono “Trextasy” e andando a colmare il vuoto lasciato da pochi mesi dallo scioglimento dei Beatles. Difficile da credere, ma le scene d’isteria collettiva, la difficoltà a suonare dal vivo per motivi di ordine pubblico e l’idolatria che si vennero a creare in pochissimi mesi erano quanto di più simile si fosse mai avvicinato a quelli legati ai Fab Four. Successero cose che ancora oggi hanno dell’incredibile: i loro concerti venivano aperti da artisti del calibro di Rod Stewart e gli Who, i due album successivi raggiunsero il milione di copie in due settimane e dalle cento persone sedute all’UFO si passò a due serate sold out a Wembley.

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Soprattutto, però, Bolan riuscì nell’impresa di mettere d’accordo Lennon e McCartney, cosa non semplice all’epoca. “Nel panorama Pop odierno solo un gruppo mi interessa e sono i T. Rex di Marc Bolan” – dichiarò Lennon alla stampa alla fine del ’71 – “Bolan è l’unico artista in grado di eccitarmi: il suo rock n roll è fantastico, ma sono i suoi testi che mi affascinano come poco altro al mondo. Il suo modo di scrivere è totalmente innovativo e non riesco a fare meno di leggere i suoi testi in continuazione. È l’unico artista in grado di proseguire il nostro discorso”. A dire il vero, che Lennon potesse subire il fascino della poesia bolaniana era anche immaginabile, mentre a stupire maggiormente furono le parole di McCartney: “Marc Bolan e i T. Rex sono i miei artisti preferiti perché sono l’unico gruppo inglese che ha dimostrato davvero originalità. Devo ammettere di preferire il Bolan acustico, ma anche gli album elettrici sono assolutamente incredibili. Bolan è l’unico artista britannico che potrebbe ottenere lo stesso successo dei Beatles in America”. Ringo Starr si spinse ancora più là, dirigendo il celebre film concerto “Born to Boogie” e coinvolgendo nel progetto persino Elton John. Probabilmente troppo e troppo in fretta, come nella più classica delle storie rock n roll: inebriato dal successo e smarritosi nel labirinto della droga, Marc subì un lento declino psicofisico, che finì di conseguenza per rispecchiarsi nella sua musica. Nuovi eroi come l’amico Bowie, i Pink Floyd e i Queen finirono per superare i T. Rex in popolarità, allontanandoli come  un ricordo sbiadito, senza riuscire tuttavia ad interromperne la saga: dopo un paio d’anni, recuperate fiducia e forma fisica, l’ex Elemental Child riuscì a rinascere dalle proprie ceneri, riconquistando critica e credibilità. Questa, però, è tutta un’altra storia.

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