Lynyrd Skynyrd: La Legge Dei Van Zant

Per un fan dei Lynyrd Skynyrd, parlare della propria band preferita equivale a discutere di religione: non importa sapere cosa faccia, perché lo faccia o come lo faccia, l’importante è sapere che esista ora e sempre, persino quando l’ultimo membro del combo originale non ci sarà più. Registrato al Fox Theatre di Atlanta, l’autocelebrativo One More For The Fans ricorda a chiunque che quando si parla di southern rock il riferimento è sempre uno solo. Come ci ricorda il cantante Johnny Van Zant.

Skynyrd nuovi

Una grande autocelebrazione, un tributo ai vostri fedelissimi fan e quante altre cose rappresenta questo nuovo album dal vivo?

“Beh il luogo in cui è stato registrato, come ben sai, è uno di quelli che restano scolpiti nella memoria di qualsiasi fan della band, in primis per me che quella band la vidi diventare immensa e, purtroppo sgretolarsi proprio all’apice. Anzi, appena prima che potesse diventare una delle cinque o sei band più famose della storia della musica. Al Fox Theatre di Atlanta venne registrato proprio One More For The Road, uno dei grandi classici della band di mio fratello e uno dei live storici degli anni settanta. Ora questo luogo sta per essere cancellato e con esso tutta la memoria che possiede, che credo faccia parte della cultura americana come tante altre cose che invece vengono protette con le unghie e con i denti. Quindi sicuramente parliamo di un omaggio immenso alla gente che ci segue da sempre, alla working class cui la band si rivolge fin dal primo album, ma anche molto altro. Speriamo non venga demolito.”

In effetti, i vostri sostenitori sono stati i primi a capire che la musica poteva sopravvivere alle peggiori tragedie, semplicemente perché lo spirito non muore.

“Quando decidemmo di rimettere in piedi la band, i nostri fan capirono subito che non vi era dietro nessuno scopo se non quello di portare avanti un’idea prima ancora che una band. Ai tempi ce lo chiedemmo per diversi mesi: aveva davvero senso farlo? Il timore era quello di non essere capiti, di essere scambiati per nostalgici in cerca di un po’ di pubblicità o che pensassero volessimo sfruttare cinicamente quello che era successo a mio fratello e agli altri. In questo senso forse rappresentiamo una sorta di unicum nella storia del rock. Ti dirò una cosa di cui ho parlato poche volte: dopo le scomparse di Billy Powell e Ean Evans abbiamo davvero pensato di smettere, non ce la facevamo più e ci siamo chiesti se avrebbe avuto ancora senso. Era come se il peso di tutte le tragedie che avevamo dovuto subire ci fosse piombato addosso all’improvviso, dal giorno alla notte.”

E poi cosa vi ha convinto a cambiare idea e ad andare avanti?

“Proprio il fatto che le persone intorno a noi che erano venute a conoscenza della cosa iniziarono a chiamarci per dirci di non farlo. La cosa ha iniziato così a diffondersi in modo rapidissimo: tutti quelli a cui giungeva la notizia non si curavano di capire se fosse vera o falsa, semplicemente cercavano di farci sapere che non potevamo smettere, perché la nostra era una sorta di missione per conto di Dio (ride, ndr). Internet ha fatto il resto: navigando un po’ mi resi conto che la responsabilità che avevamo nei confronti della gente era troppa. Mi sono bastati i primi cinque o sei messaggi che mi esortavano a proseguire per ripensarci. Mi piace sempre ripetere che siamo l’unica all scar band della storia del rock (ride, ndr). La cosa stupefacente di questo concerto è che chi sta davanti a noi fa parte della grande Skynyrd Nation, così come tutti i grandi artisti che hanno voluto salire su quel palco insieme a noi. Nostri fan e viceversa. Avere con noi gente come Gregg Allman, i Cheap Trick, Peter Frampton o Warren Haynes è stato incredibile.”

In effetti lo stuolo di artisti presenti quella sera è da brividi. Immagino non sia stato semplice trovare la sera giusta per farli convogliare tutti…

“Non puoi capire che lavoro, amico. Sai, a parte qualcuno, questa è tutta gente difficile da trovare a casa in pantofole a guardare la tv. Alcuni hanno spostato impegni e date di concerti pur di esserci e questa è una cosa che non dimenticheremo mai. Altri purtroppo non erano presenti perché magari dall’altra parte del mondo: ci saranno altre occasioni per suonare insieme, ce lo siamo già ripetuto più volte. Inoltre ognuno dei presenti era anche molto legato alla location e alla sua difesa, quindi la comunione di intenti era totale. Credo che se parliamo di un certo tipo di musica, ad ogni modo, le mancanze fossero davvero pochissime. I momenti indimenticabili sono stati diversi, anche se forse qualcuno è stato più toccante di altri, come è inevitabile che sia. Sarebbe stato bello avere più membri passati della band, ma purtroppo le cose non sempre vanno come vorresti e dobbiamo prendere la vita che Dio e il fato ci concedono.”

Credo che uno degli ospiti più commossi e commoventi della serata sia stato tuo fratello Donnie.

“Sai, i Lynyrd Skynyrd in qualche modo hanno dato e tolto tutto alla nostra famiglia. Perdere un figlio è la cosa peggiore che possa accaderti nella vita e io stesso l’ho compreso appieno solo con gli anni, quando a mia volta ho messo su famiglia. Io e Donnie abbiamo sentito per molti anni il peso di essere i figli sopravvissuti e solo negli ultimi anni siamo riusciti davvero ad elaborare tutta quella faccenda. Donnie ha inoltre dovuto praticamente abbandonare la sua carriera per via di diversi problemi di salute, quindi essere sulla stesso palco per un’occasione del genere è stato davvero uno dei punti più alti della nostra saga. Soprattutto perché abbiamo cantato insieme ad un filmato di nostro fratello Ronnie: credo sia stata la versione di Travelin’ Man più toccante mai eseguita dal vivo dalla formazione post reunion, qualcosa di davvero intenso. Il pubblico stesso è rimasto molto colpito dall’esecuzione, perché deve aver percepito la tensione emotiva che ci attanagliava.”


lynyrd-skynyrd-4fa710a24afedDal 1987 sei il portavoce dello spirito di una band che di fatto non esisteva più da anni. Credi che il futuro del classic rock possa avvicinarsi alla musica classica?

“Nel senso che le composizioni finiscono per vivere in una sorta di mondo altro, indipendente da chi le ha create e da chi le riprodurrà nei secoli dei secoli? Assolutamente sì, fratello. Sono sempre stato convinto di questa cosa e ho notato che diverse altre vecchie band, che abbiano più o meno tutti i membri originali presenti, iniziano a pensarla come me. Persino Gene Simmons qualche anno fa, parlando del futuro dei Kiss, disse qualcosa di questo tipo. Sarà per forza così, perché le grandi band, quelle che rimangono nell’immaginario collettivo da quaranta o cinquant’anni non smetteranno mai di affascinare la gente e quando nessun membro originale sarà più in vita, ci sarà qualcuno che si prenderà la briga di portarne avanti il nome. Certo non dico che ogni gruppo da bar potrà dire di essere i Lynyrd Skynyrd, ma che la musica sopravvive ai propri autori lo dice la vita stessa. Mio fratello era un genio, assimilabile, seppur con un modo differente di esprimersi, ai grandi compositori classici. Perché questa cosa crea imbarazzo?”

Forse perché quasi tutti sono convinti che una band possa esistere solo se vi militano i membri originali. Altrimenti meglio cambiare nome. Una discussione vecchissima.

“Lo so e credimi che la comprendo perfettamente. Semplicemente io sono di un’altra idea. Noi siamo gli eredi spirituali di una band che per via di un terribile incidente non è più potuta esistere in un certo modo. Se ci pensi, però, diversi cambi di line up erano già avvenuti ai tempi, ma nessuno si era mai posto il problema di dire: non è più la band originale. È una band, punto. Originale rispetto a cosa poi? Credo che l’ultimo disco di quella che tutti considerano la band originale fosse il migliore insieme ai primi due e per esempio era il primo con Steve Gaines. Credi non fosse una grande band per quel motivo? Io credo che Steve fosse il miglior solista mai entrato a farne parte, invece, e non aveva partecipato a nessuno dei grandi classici del gruppo. Vatti però a sentire con che gusto suonava Free Bird dal vivo e poi possiamo riparlare di membri originali o no. Sia chiaro, io ogni sera da trent’anni omaggio la memoria di mio fratello ma anche quello di una band esistente.”

E quindi cosa rispondi a chi continua a considerarvi un’ottima cover band?

Per prima cosa li ringrazio per l’utilizzo dell’aggettivo “ottima”, che fa sempre piacere sentirsi affibbiare. Al di là delle battute, è evidente che chi dice così non abbia mai assistito ad un nostro concerto, altrimenti si sentirebbe di dire davvero altre cose. Non è facile spiegare il livello di empatia che si viene a creare durante i nostri show: è come se tutti ci dicessero che sanno bene perché continuiamo a fare tutto questo. Inoltre, forse è sfuggito loro anche questo, dall’anno della nuova partenza abbiamo anche registrato qualche nuovo disco, anche se non siamo proprio velocissimi nel songwriting (ride, ndr). Soprattutto, però, come ti spiegavo prima, significa non aver capito quale sia la molla che continua a far sì che questa band esista: i Lynyrd Skynyrd esisteranno sempre, al di là di chi farà parte della band, perché sono un’entità superiore che sopravvivrà a noi e a tutto il resto.”

Va anche detto però che nonostante i nuovi album, dal vivo tutto si trasforma in grande happening in cui le nuove composizioni trovano sempre poco spazio.

Be’ quando non abbiamo album da promuovere siamo felici di far godere il nostro pubblico con tutti i classici della nostra storia. Creare le setlist è sempre arduo: da una parte c’è la voglia di suonare nuovi brani e non finire appunto per essere dei meri esecutori di vecchi standard, ma dall’altro c’è la responsabilità nei confronti di chi ti viene a vedere, che non può uscire dallo show senza aver sentito i classici. Stimo le grandi band che hanno il coraggio di non suonare il loro pezzo più rappresentativo, io però non ce la farò mai, mi sembrerebbe di fare un torto al nostro pubblico. Se parliamo di One More For The Fans, poi, tutti questi discorsi lasciano il tempo che trovano: dovevamo rappresentare al meglio la nostra storia e lo potevamo fare solo con i brani che abbiamo scelto. Rivedere in video il finale di Sweet Home Alabama con tutti quegli amici sul palco mi ha emozionato, perché ho pensato a dove sarebbero potuto arrivare e che magari io avrei preso parte allo show da ospite e fratello minore.”

I vostri concerti oggi assomigliano a dei grandi happening in cui convivono tanto le famiglie che i gruppi di motociclisti o gli ex hippie. Una volta però eravate un gruppo pericoloso…

“Le ragioni di questo processo, come puoi immaginare, sono molteplici e non sempre semplici da individuare. Di sicuro, come tutte le band con una certa storia alle spalle, siamo andati incontro ad uno sdoganamento inevitabile: oggi sono altre le band a fare paura, forse l’attenzione è maggiormente rivolta a certi rapper o magari al metal più estremo ed esplicito. In effetti i primi anni della band sono trascorsi all’insegna di una serie di valori e di lifestyle che ben si sposavano con una certa cultura e, soprattutto, con la giovane età di chi suonava e scriveva i pezzi. C’è un’età per tutto, quindi non credo che oggi mio fratello parlerebbe di scazzottate o vite al limite, ma probabilmente di cose legate alla maturità, per esempio. Quello che però viene fuori anche dai brani legati ad uno stile di vita sregolato non hanno mai in sé autocompiacimento o apologia di quei comportamenti, ma in genere portano messaggi che vanno contro quegli atteggiamenti.”

Per quello continuate a cantarle, oltre per via del fatto che spesso si tratti di grandi classici del gruppo?

“Credo che la musica non possa cambiare in gran misura la società o il mondo che ci circonda: le vedo più come cose legate alla fine degli anni settanta. Credo però fortemente che possa avere un fortissimo valore terapeutico e catartico. Pezzi come The Needle And The Spoon fossero tutto tranne che apologie delle droghe, tutt’altro. Erano cose che purtroppo i musicisti avevano vissuto sulla loro pelle, ma cercavano di mettere in guardia i ragazzi sui pericoli di tali comportamenti. La stessa That Smell, ispirata al famoso incidente d’auto di Gary Rossington, non esorta a drogarsi o a bere, ma parla dell’odore della morte che segue chi porta avanti per troppo tempo certe azioni. È un brano che mi mette sempre i brividi, soprattutto perché da lì a poco avvenne la tragedia e perché anni dopo anche lo stesso Allen Collins ebbe un incidente causato dall’alcol che lo rese paralitico. Ricordo ancora i suoi interventi in carrozzina per spiegare al pubblico i rischi cui potevano andare incontro.”

Veniamo al futuro: serate come questa vi spingono a tornare in studio o, al contrario, a continuare sulla strada della celebrazione infinita?

“Non so dirti con certezza cosa provo dopo serate così intense. Sicuramente se torneremo in studio sarà sempre con lo stesso spirito. So che possono sembrare i discorsi di un pazzo, quindi prendi le mie parole come meglio credi, ma quando entriamo in studio è come se tutti quelli che hanno fatto parte della band si mettessero dietro agli strumenti. È come se ci fossero cinque chitarre, più cantanti e musicisti: una sorta di Skynyrd Orchestra. Infatti difficilmente entriamo in studio con dei brani finiti ed arrangiati e solo da registrare, perché aspettiamo che si riformi quello spirito che ha sempre caratterizzato l’animo più profondo del gruppo. Ci mettiamo in postazione ed iniziamo a suonare, facendo attenzione a registrare ogni minuto delle session. L’ho sempre vista più come una cosa spirituale che meccanica, quindi anche un modo di omaggiare il passato.”

Gli argomenti dei tuoi brani rimangono sempre incentrati su temi molto poco fraintendibili. Spesso gli stessi contro cui Neil Young si scagliò, facendo poi nascere Sweet Home Alabama.

“Ho sempre avuto uno stile narrativo molto semplice e diretto. Mi piace parlare di quello che mi circonda, degli incontri che faccio e dei miei ideali di vita. In alcuni casi quello che dico può dare fastidio od essere frainteso, ma il fatto di dichiarare di possedere delle armi non mi può far catalogare subito come redneck, né tantomeno me la prendo quando ancora la nostra band viene associata a certi atteggiamenti. Vivo in un luogo molto isolato, ho una famiglia e devo poterla difendere come ritengo più opportuno. E credo che una pistola sia la cosa migliore. Non ho mai nascosto le mie idee politiche, sono sempre stato un repubblicano e non mi vergogno a dirlo. Ho rispettato Obama come il mio presidente, ma non l’ho apprezzato e credo sia il momento di svoltare. Tuttavia, se passassi una sera con noi ti accorgeresti immediatamente di non trovarti tra bifolchi campagnoli razzisti e bigotti, come qualcuno ci ha spesso definito. Abbiamo delle radici culturali con le quali non possiamo evitare di confrontarci, non sempre in modo acritico, ma siamo persone civilissime.”

Tu però, molto più rispetto a tuo fratello, hai sempre ostentato l’aspetto dell’essere sudista come un vero e proprio valore. Anche durante i concerti.

“La cosa buffa di tutta la faccenda è che tutta la prima parte di carriera del gruppo non fu mai caratterizzata da nessun tipo di presa di posizione sulla questione sudista. Nessun brano che inneggiasse a chissà quale atteggiamento razzista o antisociale, mai un riferimento esplicito a qualche aspetto cui Neil Young faceva riferimento quando si scagliava con la gente del sud. Io devo ammettere di aver spinto un po’ sull’acceleratore riguardo alla cosa, tanto che ho sempre rivendicato le mie origini e le cose in cui credo. Ho suonato per presidenti repubblicani e continuo a credere che sia giusto sventolare la bandiera sudista. Che, di per sé, non mi rende un razzista, ma una persona che vuole il bene della propria patria. Nel rispetto di tutto e di tutti: sono sempre stato contro gli estremismi.”

Al di là delle parole di circostanza, ha ancora senso pubblicare nuova musica per te? Considerato anche il mercato odierno rispetto a quello degli anni ottanta e novanta.

“Non saprei risponderti con certezza: ci sono giorni dove sono convinto di una cosa e altri dove penso l’esatto opposto. So bene che potrei continuare a cantare fino al giorno della mia morte senza più registrare un brano, ma d’altra parte come band abbiamo ricevuto notizie molto peggiori che quella di un discografico che viene a parlarci di vendite insufficienti (ride, ndr). Per altro dischi come God And Guns e Last Of A Dyin’ Breed, per gli standard del nuovo millennio, hanno avuto un’ottima accoglienza di pubblico, quindi anche dal punto di vista commerciale può esserci ancora uno spiraglio. Credo comunque che quel music business, figlio di quello scellerato degli anni ottanta e novanta, sia stato lentamente soppiantato da quello legato ai nuovi formati. Arrivate al punto più basso, le case discografiche hanno dovuto cambiare modus operandi e piegarsi alle nuove tecnologie, dopo essersi convinte per anni che sarebbero state un fenomeno passeggero.”

Insomma, abbiamo capito che pubblicherete un nuovo album…

“Io e Gary abbiamo scritto diverse canzoni, lo ammetto, e molte altre sono pronte da anni ma non abbiamo mai trovato il tempo per registrarle come si deve. Inoltre abbiamo avuto due grosse proposte discografiche per l’incisione di nuova musica, quindi molto probabilmente sentirete ancora parlare di un nuovo disco dei Lynyrd Skynyrd, che lo vogliate o meno (ride, ndr). Gli ultimi due hanno debuttato nella top venti americana e questa volta vogliamo puntare anche sul ritorno del vinile, una delle cose che ha eccitato di più un vecchio come me negli ultimi anni. L’unica cosa che posso promettere ai nostri fan è che il futuro vedrà sempre presente la nostra onestà intellettuale, da sempre al servizio di quest’avventura. Avventura che sembra davvero non dover mai giungere alla fine, nonostante il destino spesso avverso e quella parola, maledizione, che troppo spesso è stata accostata al nostro nome.”